sabato 17 maggio 2014

Cannes, con pochi colpi di scena lascia perplessi il thriller “The Rover” di Michôd

La locandina
La scheda
Un film di David Michôd. Con Robert Pattinson, Guy Pearce, Scoot McNairy, Nash Edgerton, Anthony Hayes, David Field, Susan Prior, Gillian Jones, Samuel F. Lee, Tawanda Manyimo, Scott Perry, T. Stinga, Jamie Fallon, Matt Connelly. Drammatico, Usa/Australia 2014. Koch Media. Uscita: giovedì 28 agosto 2014.

La trama
La vicenda è ambientata nel futuro (però non troppo lontano) e nel deserto australiano: la crisi economica ha spazzato via i sogni e la fiducia di Eric Pearce, un uomo che ha perso praticamente tutto. Una banda criminale gli dà il colpo di grazia portandogli via anche l’auto. L’ultima cosa rimastagli, all’interno della quale c’è qualcosa di molto importante. Pearce non intende arrendersi e così si mette a caccia dei delinquenti in questione arrivando a conoscere il più giovane di loro, Rey. Il quale è abbandonato dai compagni perché rimasto ferito durante la rapina e deve vedersela con la rabbia ormai cieca e l’implacabile sete di vendetta (frutto anche dell’esasperazione) di Eric.

Critica – Rassegna stampa
“Il nuovo film del regista australiano di Animal Kingdom (fuori concorso al Festival di Cannes) è molto distante dalla sua opera prima”, scrive Marco Albanese di Stanze di CinemaQui siamo in un futuro imprecisato, dieci anni dopo la catastrofe (...) un road movie solitario e finale, sulle orme di Interceptor e dell’apocalittico The Road. Ma non c’è vero orrore e neppure molto da fare, se non sopravvivere. The Rover è debole narrativamente e risaputo, non ha colpi di scena né riesce a sfruttare appieno il contesto (...) Peccato perché Michod aveva esordito magnificamente con la famiglia disfunzionale di Animal Kingdom, mostrando doti di grande osservatore e umanista. Qui invece si limita a impaginare una serie di cliché che non aggiungono nulla a quanto già visto altrove e spreca anche un ottimo Guy Pearce che ha un solo vero dialogo in tutto il film, e si limita ad attraversare il film alla maniera di Eastwood nei film di Leone. Quanto a Pattinson - rileva sempre Albanese - stendiamo un velo pietoso: dire che è ancora molto immaturo è un eufemismo. Il fatto che grandi registi continuino a sceglierlo per i loro film, non fa che mettere in luce tutti i suoi limiti. Un mezzo disastro”.

Guy Pearce (sinistra) e Robert Pattinson in una scena di The Rover
Robert Pattinson,
per lui un ruolo più 'maturo'
“Un deserto che sembra venire da un altro mondo - è l'opinione di Mauro Donzelli di Coming Soon - un mondo in cui sono passati dieci anni dal misterioso ‘collasso’, che ha reso quelle terre un nuovo far west senza legge e con scorribande continue di mercenari senza meta precisa (...) The Rover è un film on the road in cui la strada non porta da nessuna parte, in un circuito chiuso e privo di senso razionale così come le vite di chi la percorre. Secco e polveroso, lobotomizzato e rotto da improvvise rasoiate di violenza visiva e uditiva - sottolinea ancora Donzelli - il film non è particolarmente originale nella vicenda, ma ha una sua impronta stilistica sincopata che cattura, proponendo il solito eccellente Guy Pearce, ma anche un Robert Pattinson che questa volta convince anche per i risultati, oltre che per le intenzioni, nel suo lodevole sforzo di allontanarsi dall’immagine di icona teen”.

redazione

Cannes, con “La Chambre Bleue” Amalric non fa troppo onore a Simenon

Il manifesto del film
La scheda
Un film di Mathieu Amalric. Con Mathieu Amalric, Léa Drucker, Stéphanie Cléau, Mona Jaffart, Laurent Poitrenaux. Drammatico, Fra 2014. Durata 75' circa.

La trama
Il film è tratto dall’omonimo romanzo di George Simenon. Julien è sposato e ha una figlia piccola. Delphine anche. S’incontrano dopo gli anni dell’adolescenza ed esplode la passione. Gli incontri si consumano tutti i giovedì in un hotel, per undici mesi. Poi lui decide di chiudere, forse spaventato dalla prorompente sensualità e morbosità di Delphine. Ma lei non cessa di amarlo, di mandargli bigliettini, pur nella lontananza forzata. Julien prova a dare un significato al proprio matrimonio, lei evidentemente no. Muore prima il marito di lei. Poi, misteriosamente, la moglie di lui. Questa storia non accade in tempo reale ma in flash back, nella mente e nelle parole di Julien durante i continui interrogatori della polizia per fare chiarezza sulle due morti, apparentemente senza segni di violenza. Il processo e il verdetto finali ricongiungono i due piani temporali.

Critica – Rassegna stampa
È il secondo film presentato nella sezione ‘Un Certain Regard’, del regista e principale interprete Mathew Amalric (fra i protagonisti del recentissimo e apprezzatissimo Grand Budapest Hotel di Wes Anderson e alla sua quinta prova registica). La “scelta narrativa, di sovrapporre i due piani temporali, il presente e il passato - spiega Elisabetta Sgarbi nella suarecensione sulla Gazzetta di Mantova (versione online) - è una prima debolezza del film: genera una montaggio nevrotico, volto a spiegare i fatti, più che a fare abbandonare il lettore alla storia (storia bellissima, tra l’altro, uscita dalla penna di un maestro come lo scrittore belga). Si pensi alla sequenza iniziale: tanti dettagli di esterni, mentre la colonna audio fa risuonare un amplesso: si sente la mancanza di un carrello o di un piano sequenza che accompagni, insieme ai mugolii di piacere, lo spettatore dentro la stanza del piacere.

Léa Drucker e Mathieu Amalric in una scena del film
E forse, per la poetica di Amalric, non è centrata la scelta di Simenon di cui si apprezza sempre la leggerezza del tocco, la pennellata veloce e esauriente anche negli snodi narrativi più tortuosi. Al contrario - scrive ancora Sgarbi - il regista ama l’indugio sullo scabroso, sul morboso, alla vana ricerca di un dettaglio psicologico che, come un’anguilla, gli sfugge. Senza anticipare dettagli sul plot, la centralità della marmellata avrebbe meritato un pizzico di ironia (‘simenoniana’) che manca al film. Bella fotografia a tratti, belle inquadrature in controluce, suggestive luci blu. E qualche citazione pittorica, non proprio originalissima (‘L’origine del mondo di Courbet’)”.

redazione

Cannes, “Winter Sleep” (in concorso) e i primi applausi del festival francese

Il manifesto del film
La scheda
Un film di Nuri Bilge Ceylan. Con Haluk Bilginer, Melisa Sozen, Demet Akbag, Ayberk Pekcan, Serhat Mustafa Kiliç, Nejat Isler, Tamer Levent, Nadir Saribacak, Mehmet Ali Nuroglu. Titolo originale: Kis uykusu. Drammatico, Tur/Fra/Ger. Durata 196'.

La trama
Aydin è un attore in pensione, ora gestisce un piccolo hotel in Anatolia centrale. Ci sono due donne della sua vita: sua moglie, distante e fredda in ogni senso e la giovane sorella, divorziata da poco tempo. Con l'inverno arriva la neve che copre interamente la steppa e porta la noia. Uno stato d'animo che spinge Aydin a partire per un lungo viaggio.

***

Applausi scoscianti (la proiezione, va detto, era anche quella ufficiale con pubblico) alla prima stampa di Winter Sleep, film del regista turco Nuri Bilge Ceylan (apprezzati i suoi primi tre film, in particolare nel 2011 C'era una volta in Anatolia) in corsa per la Palma d'oro di questa 67^ edizione del Festival di Cannes. E questo nonostante le tre ore e quindici minuti di durata di questo poema da camera turco, tra Bergman e Shakespeare, con un gruppo attoriale che mette fin da adesso una consistente ipoteca per un premio. (Fonte AnWinter, Sleep, turco, sa online)

Critica – Rassegna stampa
Una scena di Winter Sleep
“Un film molto classico ambientato nella steppa anatolica che sembra quella russa raccontata da Cechov nelle sue opere”, rileva Mauro Donzelli di Coming Soon. "Un’ambientazione fuori dal tempo che rimanda al romanzo ottocentesco, con il fuoco nel camino, le pareti di pietra, la luce fioca delle candele, le camere non riscaldate (…) I nostri protagonisti sono i signorotti del luogo, con le persone a servizio, della povera gente locale che abita nelle loro tante case di proprietà, un imam ossequioso che ricorda un don Abbondio di campagna (...) Una incomunicabilità che sembra diventare anche un’accusa di chi ha lottato per una Turchia contemporanea, laica, che vede con snobismo dell'artista la religione come superstizione del popolino, contro chi invece sembra volersi accontentare, o peggio tornare indietro. Winter Sleep – scrive ancora Donzelli - è un accumularsi di tanti dialoghi densi, di cui colpisce la lucidità spietata dei giudizi che i personaggi si scambiano, che arrivano con rassegnazione, tanto da farci percepire gli anni di non detti che ora non possono più nascondere la verità, le ferite del
Il regista turco Nuri Bilge Ceylan
tempo che inevitabilmente ci si infligge, spesso non volendolo. Del resto, lo si dice varie volte, «le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni» (...)
Ceylan realizza il suo film più riuscito, verbosissimo ma ipnotico, che si nutre di pesanti ambizioni senza cali di tono. Un ritratto spietato eppure molto umano, di non detti che logorano e del tempo che inevitabilmente cambia tutti noi e il nostro rapporto con chi amiamo”.

L'attore protagonista, il 59enne turco Haluk Bilginer
Secondo Giancarlo Zappoli di My Movies, il 55enne cineasta di Istanbul “ancora una volta riesce ad emozionare con un'opera che sfida la lunga durata uscendone vincitrice assoluta (…) realizza una sintesi del proprio cinema dimostrando una libertà creativa che lo affranca dalla ripetitività. Dopo il successo dei film precedenti (…) sarebbe stato facile tornare a proporre atmosfere e tempi rarefatti. Ceylan opta invece per una sceneggiatura in cui la parola domina integrandosi con un paesaggio e con interni che riflettono e, al contempo, determinano gli stati d'animo. Se il rimando a Shakespeare è in questa occasione palese (dal nome dell'hotel al manifesto di un ‘Antonio e Cleopatra’ fino a una diretta citazione) l'amato Cechov torna a innervare l'opera del regista. Perché il film – commenta sempre Zappoli - è pervaso da una sensazione di resa alla fragilità dei rapporti mentre al contempo se ne cerca una ragione e una soluzione (magari nella Istanbul che sostituisce come meta desiderata la Mosca del maestro russo). Ceylan però si impadronisce di questo mood per operare una lettura delle relazioni uomo/donna che, portata sullo schermo grazie ad attori straordinari, ne fa emergere le pieghe e le piaghe più nascoste”.

redazione

venerdì 16 maggio 2014

Cannes, “Captives” di Atom Egoyan delude la critica del Festival

La locandina
La scheda
Un film di Atom Egoyan. Con Ryan Reynolds, Scott Speedman, Rosario Dawson, Mireille Enos, Kevin Durand, Alexia Fast, Peyton Kennedy, Bruce Greenwood, Brendan Gall, Aaron Poole, Jason Blicker, Aidan Shipley, Ian Matthews, Christine Horne, William MacDonald, Ella Ballentine, Jim Calarco, Michael Vincent Dagostino. Thriller, Usa 2014. Durata 113’.

La trama
Il film racconta il rapimento di una bambina di nove anni, prelevata dall’auto del padre mentre lui entra in un negozio a fare una commissione. I genitori passano gli anni successivi a cercare la figlia scomparsa, con l’aiuto di una detective specializzata nella sottrazione dei minori e nell’abuso da parte di pedofili, soprattutto attraverso la Rete. «Nel mio mestiere non ci sono lieti fine, solo storie bruscamente interrotte», dice la l’investigatrice. Ed è questa la cifra più originale del cinema di Atom Egoyan: raccontare storie interrotte che non riusciranno più a recuperare la propria interezza.

Cosa si dice
Captives, del regista canadese di origine armena Atom Egoyan, in concorso alla 67esima edizione del Festival di Cannes, non ha convinto tutti i giornalisti accreditati alla proiezione stampa che si è tenuta venerdì 16 maggio. Il film ha raccolto più mugugni che applausi. Da non confondersi con Captives - Prigionieri, apprezzato thriller del 1995 della cineasta britannica Angela Pope, con Julia Ormond e Tim Roth; né con Captive, 2012, più che discreto drammatico del regista californiano Brillante Mendoza,
Il regista
Atom Egoyan
con
Isabelle Huppert (quando si dice, un titolo un tantino inflazionato... ), questa di Egoyan è comunque una pellicola che offre diversi spunti, alcuni dei quali piuttosto interessanti. Il più profondo – scrive Paola Casella di Europa Quotidiano (online) - riguarda il ruolo degli uomini, incapaci (…) di esserci al momento giusto e di proteggere le donne loro affidate: vale per il padre della bambina scomparsa ma anche per un collega della detective. L’uomo è troppo occupato dalle proprie ansie e ambizioni per dimostrarsi, al momento buono, un partner affidabile”.

«Sono stato spinto a fare questo film anche per un fatto di cronaca successo in Canada, ovvero la sparizione di un giovane in un parco», ha dichiarato il regista parlando di questa sua ultima fatica (è comunque già al lavoro per Remember, altro thriller che dovrebbe uscire l’anno prossimo e che vanta nel cast l'intramontabile Christopher Plummer). «La cosa che più mi ha impressionato - ha aggiunto Egoyan - è che a distanza di tempo ci sono ancora gli appelli dei genitori dappertutto. È un dolore che non passa».

s.m.

Il più bello di venerdì 16 maggio, prima serata, sul ‘digitale’: Rai Movie alle 21,15

La locandina
Professione assassino

Valutazione media: ♥♥ = 5,5

La scheda
Un film di Simon West. Con Jason Statham, Ben Foster, Donald Sutherland, Jeff Chase, Christa Campbell, Liam Ferguson, Eddie J. Fernandez, J.D. Evermore, Stuart Greer, Elizabeth Tranchant, Kurt Deville, Felder Charbonnet, Julia Adams, Russell M. Haeuser, Joel Davis, Michael Arnona, Nick Jones, Beau Brasso, James Logan, Amber Gaiennie, Shima Ghamari, Ada Michelle Loridans, David Dahlgren, Tony Goldwyn, Mini Anden, Katarzyna Wolejnio, Lance E. Nichols, John Teague, Jeffrey Whitney. Titolo originale: The Mechanic. Azione, Usa 2011. Durata 92'.

La trama
Arthur Bishop è un ‘meccanico’: un assassino scelto, con un codice molto severo e un talento unico nell'eliminare in modo impeccabile ogni sua vittima. Il suo è un lavoro che richiede la massima perfezione oltre che un distacco totale e Bishop è il migliore nel suo campo. Ma quando il suo grande amico e mentore Harry è assassinato, Bishop non può fare a meno di lasciarsi coinvolgere a livello personale. E così stavolta sarà lui a scegliere il suo successivo incarico: trovare i responsabili della morte del suo amico. La missione si fa più complicata quando Steve, il figlio di Harry, gli rivela l'intenzione di vendicare da solo la morte del padre. Bishop ha sempre agito da solo ma questa volta non può certo voltare le spalle al figlio di Harry.

Critica
Precisazione: ho visto questo film una sola volta e nel 2011, quattro anni fa. Una visione molto distratta, visto che da subito mi è stato chiaro il basso livello della pellicola. Per offrire, quindi, un’opinione attendibile propongo una rassegna stampa, raccogliendo le osservazioni di colleghi di altre testate giornalistiche.

***

“Ci sono in mezzo quasi quarant’anni tra questo Professione assassino e l’omonimo originale uscito nel 1972”, ricorda Federico Gironi di Coming Soon. Quarant’anni e tutta la pellicola che è passata sotto i ponti. Se allora alla regia c’era uno specialista del cinema di genere come il ruvido e caustico Michael Winner (quello che avrebbe iniziato la saga del Giustiziere della notte), oggi al suo posto c’è un jolly dei b-movie d’azione come Simon West, ben più conciliato e conciliante responsabile di titoli come Tomb Raider e Con-Air. La bandiera che sventola è la stessa, quella britannica, ma la mano e gli stili sono inevitabilmente differenti (...) Depennata quasi integralmente la componente omoerotica che caratterizzava il rapporto dei due personaggi nell’originale, in questo remake è una dinamica amletica a dettare ritmi e modi dell’interazione. Ma allora come oggi, la psicologia è comunque in secondo piano”.

West diversifica le scene di azione - rileva invece Giancarlo Zappoli di My Movies - tenendo conto delle lezioni che gli provengono dai maestri del genere e giungendo quasi a sfidare (ma con minori mezzi) l'impresa in stile ‘mission impossible’”. “La pecca più grande di un film come Professione assassino - rileva la recensione di Cine Blog - è la totale assenza di ironia, elemento che spesso è in grado di stemperare i problemi legati a sceneggiature troppo ardite, basti considerare come confronto quel gioiellino di Crank in cui lo stesso Statham metteva a ferro e fuoco una città in preda a una droga che lo obbligava a continue dosi di adrenalina”.
s.m.

A Cannes con “Incompresa”, Asia Argento alla ricerca di «un amore compatto e dolce»

La locandina
La scheda
Un film di Asia Argento. Con Anna Lou Castoldi, Charlotte Gainsbourg, Gabriel Garko, Max Gazzè, Alice Pea, Carolina Poccioni, Giulia Salerno, Gianmarco Tognazzi. Drammatico, Ita/Fra 2014. Durata 103’ circa.

La trama
Aria è una bambina di 9 anni che si ritrova suo malgrado a vivere una violenta separazione dei suoi genitori, lo strappo dalle sue ‘sorellastre’ in una famiglia allargata. I suoi genitori non la amano quanto lei vorrebbe. Aria, strattonata nel conflitto tra suo padre e sua madre, respinta e allontanata, attraversa la città con una sacca a strisce e un gatto nero, sfiorando l'abisso e la tragedia e cercando solo di salvaguardare la sua innocenza.

Impressioni dal trailer
Una voce fuori campo appropriata e non fastidiosa accompagna e, in qualche modo, facilita la comprensione della vicenda adolescenziale di questa donna ‘incompresa’. Brava, in questo, la giovanissima Giulia Salerno (non alla prima esperienza davanti alla macchina da presa visto che è comparsa in Un giorno perfetto e in Tutta la vita davanti) che riesce a rendere lo stato di solitudine e di allontanamento dalla famiglia ma anche, per certi versi, dal mondo che la circonda, mentre si rifugia nel rapporto con un gatto nero. La regista è brava nella concatenazione d’immagini a rendere questo malessere (che come dice la trama deriva dalla sua personale esperienza), con scene in cui la bambina reagisce al turbamento e va alla ricerca di momenti ‘trasgressivi’ con il gruppo dei suoi pseudo amici. O come quando escogita di sembrare più formosa aggiungendo sotto la maglietta delle spalline che diano l’impressione di un seno più sviluppato.

Asia Argento, attrice trasgressiva e regista promettente
L’immedesimazione col personaggio è garantita e, in questo senso, il film è consigliato anche a un pubblico di giovani (c’è qualche scena violenta ma del tutto accettabile) che siano disposti a prestare attenzione e a elaborare il messaggio del racconto realizzato dalla Argento. «Cercava solo un pochino di comprensione – ci dice la voce fuoricampo sintetizzando l’essenza dello script – un amore compatto e dolce». Quello, che a prima vista, meriterebbe anche da parte dei cinefili.

Cosa sappiamo
Una scena di Incompresa, film presentato a Cannes
Al Festival di Cannes 2014 (che terminerà il 24 maggio) sarà proiettato il 22 maggio (nei nostri cinema arriverà il 5 giugno con Good Films). A parte il film in concorso Le meraviglie di Alice Rohrwacher (proiezione il 18 maggio, leggi di più), la pellicola di Asia Argento, Incompresa (non in corsa per la Palma d’Oro ma in lizza per l’ambito riconoscimento ‘Un Certain Regard’), con la grande Charlotte Gainsbourg (reduce dal mezzo fiasco di Nymphomaniac di Lars Von Trier), Gabriel Garko Julia Salerno, è un’altra occasione per ‘annusare’ un po’ d’Italia nell’importante kermesse cinematografica francese. Ambientato nel 1984 e prodotto da Lorenzo Mieli e Mario Gianani per Wildside con Rai Cinema, in coproduzione con Paradis Films e Orange Studio, il film è stato girato tra Roma e Torino (tra il 7 e il 25 ottobre dello scorso anno) e a Tortona (esterni in piazza Malaspina e Teatro Comunale). Ovvio e giustificato l’orgoglio di Paolo Damilano, presidente di Film Commission Torino Piemonte: «Per FCTP è un’ulteriore conferma della bontà del proprio lavoro, capace di portare ancora una volta le immagini di Torino e del Piemonte nella più prestigiosa vetrina cinematografica mondiale».

Charlotte Gainsbourg
In Incompresa è impossibile non notare diverse note autobiografiche, come rileva Simona Santoni, collega della versione online di Panorama. “la lunga relazione sentimentale di Dario Argento con Daria Nicolodi, veri genitori di Asia – ricorda sempre Santoni - si concluse nel 1983 e nel 1984 Asia aveva appunto nove anni come la piccola protagonista. La regista e attrice romana torna sulla Croisette dopo ben dieci anni, quando portò in Francia Ingannevole è il cuore più di ogni altra cosa (con Peter Fonda, Winona Ryder e Ornella Muti), lunfometraggio che riscosse un discreto successo di critica, seppure non preso d'assalto dagli spettatori italiani. Insomma, stiamo parlando di una cineasta con tanto tempo di fronte a sé (ha 38 anni) tutt’altro che sprovveduta e assai promettente.

La sceneggiatura è stata scritta a quattro mani dalla stessa regista (molto più fortunata - come dimostra la sua filmografia - dietro la cinepresa che come interprete) con Barbara Alberti.

st.mar.

Ridley Scott vuol girare Blade Runner 2 e chiama di nuovo Harrison Ford

Al cinema potrebbe arrivare il sequel di Blade Runner
Harrison Ford
Ridley Scott
A quasi trentadue anni dall'originale Blade Runner, il capolavoro di Ridley Scott (deludente la sua ultima ‘fatica’ The Counselor - Il Procuratore, 2013, con Michael Fassbender e Penelope Cruz) pietra miliare della storia dei film di fantascienza, il regista britannico è pronto a girare il sequel. Ma Scott vuole di nuovo che sia l’oggi 71enne Harrison Ford (bocciatissimo in Il potere dei soldi, 2013, di Robert Luketic con Liam Hemsworth e Gary Oldman) a interpretare – come fece nel lontano 1982 -  il protagonista Rick Deckard, l’agente della polizia della Los Angeles del 2019 che dà la caccia ai ‘replicanti’ (androidi assassini così perfetti da essere quasi indistinguibili dagli esseri umani). Replicante com’è lo stesso Deckard, secondo quanto suggerisce l'edizione director’s cut della pellicola, uno dei temi più dibattuti negli ultimi trent’anni e che ora troverà risposta. La società produttrice Alcon Entertainment si è fatta avanti offrendo il ruolo all’attore di Chicago che finora non ha risposto. Il film è tratto da un romanzo (Gli androidi sognano pecore elettroniche?, editore Fanucci) di Philip K. Dick, un grande della fantascienza classica. (Fonte Agi).
redazione

giovedì 15 maggio 2014

Addio a Tony Gennaro, divenuto famoso con “Walker Texas Ranger”

Tony Gennaro nel suo ruolo in Walker Texas Ranger
Tony Genaro, l’attore caratterista che è forse meglio conosciuto per aver interpretato il ruolo dell’allevatore di bestiame in Tremors a fianco di Kevin Bacon, è morto qualche giorno fa all’età di 72 anni. Il suo decesso è stato attribuito a cause naturali ed è stata la figlia Zhanara, solo nella giornata di oggi, a darne notizia. Genaro è stato forse ancor più conosciuto per la sua presenza nel cast della celebre serie televisiva action-poliziesca Walker Texas Ranger (andata in onda fino al 2001), al fianco del protagonista Chuck Norris. Nato a Gallup (New Mexico, Usa) l’attore era diventato famoso nel ruolo del proprietario di un negozio nel film Milagro, pellicola del 1988 il cui regista era Robert Redford. Lo abbiamo anche visto nei panni di un autista dell’autobus in The Craft, film horror del 1996. Genaro aveva anche interpretato il padre di Michael Pena, agente di polizia in World Trade Center, il film di Oliver Stone del 2006.

Ancora Tony Gennaro (quello in mezzo dei tre uomini) in una scena di Tremors
Il suo curriculum cinematografico comprende film come La Bamba (1987); Ted & Venus (1991), Analisi finale (1992); Heart and Souls (1993) e Mighty Joe Young (1998), entrambi diretti dal regista Ron Underwood; Phenomenon (1996), La maschera di Zorro (1998); Anger Management (2003) e Il solista (2009). In televisione, è apparso su The Shield, CSI: Miami, Will & Grace e, come detto, Walker Texas Ranger. Anthony Genaro Acosta era il più grande di cinque fratelli. A 14 anni aveva mentito sulla sua età e si era arruolato. Aveva frequentato la San Diego State University e lavorato nel reparto di psichiatria presso il Patton State Hospital di Patton, in California, per diversi anni. (Fonte The Hollywood Reporter).

redazione