Un film di Alan Parker. Con Kevin Spacey, Kate Winslet, Laura Linney, Gabriel Mann, Matt Craven,
Rhona Mitra, Leon Rippy, Cleo King, Constance Jones, Lee Ritchey, Cindy Waite,
Jim Beaver. Drammatico,
Usa 2003. Durata 131' circa. Uip.
La trama
Texas, oggi.
Mentre in carcere sta aspettando il giorno dell’esecuzione capitale, David
Gale, un tempo stimato docente di filosofia e attivista di un movimento contro
la pena di morte, ottiene il permesso per rilasciare un’intervista alla
giornalista Bitsey. A lei Gale dice di non aver stuprato né ucciso l’amica Constance,
di essere anzi vittima di un complotto per denunciare il quale ora intende
raccontare come si sono svolti veramente i fatti. Torna così a qualche tempo
addietro, quando la falsa accusa di una studentessa per violenza sessuale gli
aveva causato la perdita sia del posto all’università sia della moglie
trasferitasi in Spagna con il figlioletto.
Recensione
(rassegna stampa)
“(...) Si tratta di un thriller, costruito tenendo ben presenti le esigenze commerciali e
in cui, via via che l’indagine va avanti, la fiction prende il sopravvento sulla ‘tesi’ - rileva Alberto Crespi di Film Tv, ripreso da Coming Soon - e l'intreccio si fa
sempre più macchinoso, con scarso rispetto per la verosimiglianza e la legge
delle probabilità. Il soggetto ricorda piuttosto da vicino quello di un film
del 1956, L'alibi era perfetto, uno tra i noir americani meno noti di Fritz Lang: ma laddove
Lang componeva
con geometrica lucidità e rigore morale la sua arringa contro la pena di morte,
Alan
Parker si dà da
fare per stupirci con colpi di scena, rimescolamenti di carte e ‘rivelazioni’ che
non sorprenderebbero neppure il più ingenuo degli spettatori. Fino, e qui si
arriva al paradosso, a una conclusione controproducente - chiude Crespi -
proprio per la causa che sta perorando”.
Kate Winslet in una scena del film di Alan Parker
“(...) Alan Parker domina con
maestria ed estrema originalità l’ottima sceneggiatura di Charles
Randolph (professore
di filosofia a Vienna, alla sua prima fatica come scrittore)”, scrive Daniele Sesti di Film Up. Il regista inglese riesce a enfatizzare,
impreziosendoli, i dialoghi dello script
che costituiscono certamente uno dei punti di forza dell’opera. In particolare,
vi segnaliamo il dialogo sulla veranda, di sera, tra Spacey e la
commovente Laura Linney (nella parte di Constance, vero motore di tutta la storia):
dialoghi da manuale (...) L’idea di raggiungere più gente possibile grazie alla
scelta di uno stile popolare, in questo caso, è certamente vincente. Così come
vincente ed entusiasmante è stata le scelta di scegliere due interpreti come Kevin
Spacey e Laura
Linney. I due sono
autori di veri e propri pezzi di bravura recitativa tali da lasciarci veramente
a bocca aperta. The life of David Gale è un film assolutamente da
vedere e da far vedere”, conclude Sesti. “Perché? Perché ‘in conclusione una
società civilizzata deve convivere con una dura verità: chi cerca vendetta
scava due tombe’”.
Un film di Francesco Calabrese e Enrico
Audenino. Con Remo Girone, Tommaso Maria Neri, Vittorio Gianotti, Stefania
Casini Commedia, Ita 2014. Durata 84' circa. Wider Films. Uscita: giovedì 17
luglio 2014.
La trama
È l’estate
del 2009. Il 15enne Andrea e il fratellino Tommaso, 9 anni e una passione
sfrenata per Michael Jackson, dovrebbero partire per il campo estivo. Ma Andrea
ha un appuntamento con la ragazza dei suoi sogni con la quale conta di perdere
la verginità, approfittando della casa lasciata vuota dai genitori in vacanza.
Fra i maldestri tentativi di sbolognare Tommaso a qualche anima pia che se ne
prenda cura mentre lui va in missione per conto di sé, Andrea s’imbatte in
Cesare, un anziano signore che non vede l’ora di calarsi nel ruolo del nonno
putativo dei due fratelli.
Recensione (rassegna stampa)
“(...) Personaggi ben studiati e adattati
sulle spalle di attori giovani e meno giovani al debutto- scrive Gianluca Chianello di Cinefilos - così come
con una lunga carriera alle spalle, ma tutti egualmente bravi e credibili nelle
rispettive interpretazioni. Così si fanno apprezzare i due giovani
protagonisti, Vittorio Giannotti nei panni del teenager tipico, un po’ ribelle e insofferente al mondo degli
adulti, e il piccolo Tommaso Neri, bravissimo e talentuosissimo, che il
regista Calabrese ha
fortemente rivoluto con lui dopo la comune esperienza in I killer. Il titolo
del film deriva proprio dalla grande passione del personaggio di Tommaso per Michael
Jackson, vero e proprio idolo (...) A completare questo improbabile terzetto
inter-generazionale, ecco il sempre ottimo Remo Girone, il quale
si mette ammirevolmente in discussione nei panni di un personaggio per lui
insolito e in una scrittura per lui insolita. Invece il vecchio leone da
palcoscenico - rileva ancora Chianello - stupisce per la potenzialità
auto-ironica che raramente ha messo in mostra nel corso della sua lunga quanto
straordinaria carriera divisa tra cinema e teatro (...)”.
Da sinistra il giovane Vittorio Gianotti e Remo Girone
“(...) è evidente che il modello di Francesco
Calabrese
ed Enrico
Audenino - rileva
Paola Casella di My Movies -
registi trentenni esordienti al lungometraggio, sono le commedie indie
americane, in particolare Little Miss Sunshine: c’è la
famiglia disfunzionale, il teenager
sbullonato, il fratellino eccentrico, il nonno fuori di testa e poi una vicina
svampita, una migliore amica con lo shiatsu
blu, tre amici nerd (di cui uno
nero), la ragazza dei sogni che pare uscita da una sorority yankee. Su tutti aleggia il fantasma del Maicol
Jecson del titolo,
che proprio quell’estate diventerà fantasma per davvero (...) una regia
gradevole e alla fine anche originale, posta l’acquisizione degli stilemi del ‘genere
indie’; scelte musicali interessanti (quelle sì, davvero locali); una ricchezza
di sfumature nella costruzione dei rapporti fra i personaggi. A questo
proposito la vera freccia all’arco di Maicol Jecson è la
scelta, molto consapevole, di concentrarsi sul rapporto nonni-nipoti, ovvero
giovanissimi-anziani, due categorie per lo più ignorate dal cinema italiano
contemporaneo, soprattutto quello di commedia. E il momento più commovente è
quello in cui Girone si guadagna il titolo di nonno di Tommaso, invitandolo a
fare tutto quello che vuole, senza paura di sbagliare”, conclude la recensione
di My Movies.
Un film di Sergio Martino. Con Lino Banfi,
Licinia Lentini, Camillo Milli, Giuliana Calandra, Viviana Larice, Stefania
Spugnini, Gigi Sammarchi, Franco Caracciolo, Andrea Roncato, Stefano Davanzati,
Urs Althaus, Antonio Zambito, Maurizio Faraoni, Michela Zampa, Francesco
Caracciolo, Ennio Antonelli, Gila Golan. Commedia, Ira 1984. Durata 98' circa.
Avo Film.
La trama
Oronzo Canà,
allenatore disoccupato, è ingaggiato dalla squadra di calcio Longobarda,
neopromossa in serie A, il cui presidente - un piccolo industriale del Nord - è
tradito dalla moglie con il giovane e prestante centravanti della squadra,
Speroni. La campagna acquisti, condotta in modo maldestro dal patron, è un
disastro: pertanto Canà va in Brasile con il sedicente mediatore Andrea il
quale, aiutato dall'amico Gigi, tenta di truffarlo. La truffa va male e solo
per un caso Canà torna, dopo alcune disavventure, in Italia con una giovane
promessa del calcio: Aristoteles. Grazie a questi la squadra è tra le prime in
classifica ma all’improvviso e per sua volontà, Speroni riesce ad allontanare
dalla squadra Aristoteles colpendolo con violenza a una caviglia. Mentre
Aristoteles tarda a guarire, la Longobarda precipita all’ultimo posto in
classifica. Nell’ultima giornata di campionato il presidente svela a Canà che,
ritenendolo un incapace, l’ha assunto convinto che con lui la squadra sarebbe
di sicuro tornata in serie B, cosa che lui si auspica perché troppo gli costa
mantenere una compagine di prima divisione. Per questo motivo Canà, pena il
licenziamento, dovrà perdere l’ultima partita, mantenendo in panchina
Aristoteles ormai guarito. Canà accetta, in un primo momento, ma poi pentito e
dietro le insistenze della figlia manda in campo Aristoteles il quale fa
vincere la squadra. La Longobarda rimane in serie A ma Oronzo Canà è
licenziato.
Recensione
(rassegna stampa)
Un film che divide il pubblico italiano. Da
una parte quello che davanti al grande schermo o alla televisione cerca più
spesso la possibilità di svagarsi con gli action-thriller
(anche quelli di basso livello) o di farsi due risate grazie alla più
demenziale comicità. Dall’altra quello che nel cinema cerca una forma d’arte
rispettosa di determinati canoni e che - a volte con un po’ di snobismo - non
tiene in minima considerazione pellicole come L’allenatore nel pallone. Una cult-trash per antonomasia, che ha fatto
breccia nell’immaginario collettivo di un Paese che ha nel dio-pallone il vero
e proprio totem. Di certo nella seconda categoria di pubblico è inscritta gran
parte della critica specializzata. Per cui non ci si meraviglia che Francesco Mininni di Magazine Italiano Tv (ripreso da Coming Soon),
abbia rilevato che calcio e cinema “non sono mai andati molto d’accordo.
Figurarsi poi se s’incontrano in un ambiente disastrato come quello della
farsaccia italiana di serie ‘z’. Da segnalare le
Lino Banfi in un'immagine emblematica del film
apparizioni di autentici
protagonisti delle domeniche sportive che allietano l’italiano medio: Pruzzo,
Ancelotti, Liedholm, De Sisti, Graziani, Schillaci ancora non lo conosceva nessuno”.
Del film esiste anche un sequel del 2007, L’allenatore
nel pallone 2 (diretto ancora da Sergio Martino) che, come
rileva la recensione di My Movies, “non possiede la magia dell'originale (...)”
e manca “(...) della sua arma più sottile ed efficace, quella naturalezza e
quella genuinità che né quel cinema di genere, né quel calcio alla genesi del
divismo e dell’opulenza posseggono più (...)”, scrive Pierpaolo Simone.
Un'altra scena de L'allenatore nel pallone del regista Sergio Martino
“(...) Definito a suo tempo dal noto critico Morando
Morandini “avanspettacolo di terz'ordine” - si legge su Dvd.it - L’allenatore nel pallone (...) si è
certo preso le sue rivincite, diventando con il tempo un cult e un grande successo (...) Personaggi come Oronzo Canà,
l’allenatore casereccio interpretato da Lino Banfi
protagonista della bizzarra vicenda, o Aristoteles, il fuoriclasse brasiliano
sconosciuto che tutte le squadre vorrebbero trovare, sono oramai dei piccoli
miti, così come la squadra della Longobarda o la ‘bi-zona’, la tattica del
5-5-5 che va contro tutte le regole (...) In realtà lo spettacolo offerto, se
si tolgono le bellezze brasiliane che compaiono nella prima parte della
pellicola, non presenta nessun abuso di volgarità, divertendo, spesso molto,
semplicemente ironizzando, attraverso le alterne fortune di una figura centrale
nel calcio come quella dell’allenatore, sullo sport che più appassiona gli
italiani (esilarante ad esempio il calciomercato del presidente della
Longobarda), e sfruttando al meglio l’esuberante mimica del comico pugliese,
vero e proprio mattatore, in una delle sue migliori caratterizzazioni (...) Simpatici l’accompagnamento musicale dei fratelli De Angelis, noti più come Oliver
Onions, e i due personaggi interpretati da Gigi e Andrea, mentre
piuttosto inutili le svariate comparsate dei vari addetti ai lavori di quegli
anni (...)”.
Una grande annata televisiva vede
contrapporsi, per la vittoria degli Emmys Awards (la cerimonia della consegna dei premi si terrà il prossimo sabato 25 agosto nel corso del Saturday Night Live.), alcuni degli show che hanno conquistato il cuore
degli spettatori. In primisTrue Detective che ha raccolto la sfida più
ardua e accettato di candidarsi come serie tv drammatica e non come
In pole position la serie drammatica True Detective
miniserie,
categoria in cui avrebbe avuto molta meno concorrenza. Il film tv di Nic
Pizzolatto
centra le candidature come miglior serie drammatica, miglior regia (Cary
Fukunaga), e la
duplice nomination per il miglior
attore protagonista andata a Matthew McConaughey e Woody
Harrelson.
Nella pattuglia dei migliori attori in una
miniserie o film tv spunta l’inglese Martin Freeman,
protagonista di un’altra delle serie-evento di questa stagione, l’acclamato Fargo. Al suo
fianco il collega di set Billy Bob Thornton e la costar in Sherlock, Benedict Cumberbatch, candidata
per l’episodio della terza stagione The Last Vow. Se i
proverbi corrispondono a verità il detto “non c’è due senza tre” potrebbe
portare il terzo Emmy consecutivo alla star di Homeland, Claire
Danes. Che
diranno le agguerrite rivali Robin Wright, Julianna Margulies e
soprattutto la docente di sesso Lizzy Caplan, acclamata
dalla critica per Masters of Sex?
Un film di Eran Riklis. Con Hiam Abbass, Ali
Suliman, Doron Tavory, Rona Lipaz-Michael, Tarik Kopty, Amos Lavi, Amnon Wolf,
Smadar Jaaron, Danny Leshman, Hili Yalon, Linon Banares, Jamil Khoury, Makram
Khoury, Yair Lapid, Loai Nofi, Ayelet Robinson, Einat Saruf, Michael
Warshaviak. Titolo originale: Lemon Tree. Drammatico, Isr, Ger, Gra 2008.
Teodora Film.
La trama
Salma Zidane
vive in Cisgiordania, ha 45 anni ed è rimasta sola da quando suo marito è morto
e i suoi figli se ne sono andati. Quando il ministro della difesa israeliano si
trasferisce in una casa vicina a quella di Salma, la donna ingaggia una battaglia
legale con gli avvocati dell’importante politico che, per motivi di sicurezza,
vogliono abbattere i secolari alberi di limoni che sono nel suo giardino. Ma
Salma non lotterà da sola. Infatti, oltre al supporto del suo avvocato - un
trentenne divorziato con cui nasce un profondo sentimento amoroso - Salma
troverà inaspettato anche quello della moglie del ministro che, stanca della
sua vita solitaria per gli impegni del marito, prende a cuore il caso della sua
vicina di casa palestinese
Recensione
(rassegna stampa)
“(...) Per raccontare il dramma della
convivenza (im)possibile tra israeliani e palestinesi - scrive Federico Gironi di Coming Soon - il regista Eran Riklis non sceglie
una storia di coloni o di zone di confine ad alta tensione, ma una vicenda
semplice e privatissima che diventa presto un caso politico e mediatico. Il giardino
di limoni
stigmatizza le prepotenze e le assurde e arroganti pretese di Israele, mette
alla berlina il lavarsene le mani di alcuni e l’arroccamento di altri, ma ne ha
anche per le ambiguità dei palestinesi: il rischio, non sempre evitato, è
quello di un cerchiobottismo un po’ d’accatto, ma certe scelte sono comunque
efficaci nella loro rilevanza simbolica (...) Nel finale Riklis mostra con
uno sberleffo crudele l’inutilità di certe pretese e l’apparente impossibilità
di una conciliazione, ma lascia che nel terreno rimangano delle radici che
potrebbero far crescere un nuovo modo di parlarsi e capirsi. Un finale che
lascia in bocca un gusto agro - conclude Gironi - proprio come se si fosse
addentato un limone, ma non del tutto privo di quella dolcezza che si chiama
speranza”.
Una scena de Il giardino dei limoni del regista Eran Riklis
“(...) lo sguardo delle due donne antagoniste,
una israeliana e l’altra palestinese - rileva Nicoletta Dose di My Movies - sorregge il peso della Storia:
Salma è una donna umile, legata radicalmente al fluire della natura, che la
rincuora dandole il frutto della sua pazienza e del suo amore e Mira ha
abitudini occidentali, è molto curata e, come spesso accade alle mogli dei
politici, si occupa di organizzare lussuose feste di ricevimento. I limoni di
Salma fanno parte della sua persona, vivono nel ricordo dei genitori e del
marito defunto (...) La costruzione del muro di Israele, il recinto del
giardino di limoni, il coprifuoco che blocca la strada sono le immagini di una
sceneggiatura ostinata che vuole togliere le barriere, fisiche e spirituali, di
un conflitto senza fine. Il regista mostra i limiti da superare, presenta i
personaggi nella loro temeraria avanzata verso una pace impossibile. Ma nella
lunga messa in scena delle due parti in lotta - scrive sempre Dose LINK!!!
- la narrazione si irrigidisce un po’ in uno schematismo che fatica a
trovare soluzioni (...)”.