mercoledì 9 luglio 2014

Il più bello di mercoledì 9 luglio, prima serata, sul digitale: ‘L'amore ritrovato’ (Iris, canale 22, alle 21)

La locandina
L'amore ritrovato

Valutazione media: ♥♥♥ = 6,5

La scheda
Un film di Carlo Mazzacurati. Con Stefano Accorsi, Maya Sansa, Marco Messeri, Luisanna Pandolfi, Vania Rotondi, Giacomo La Rosa, Marie Christine Descouard, Anne Canovas, Claude Lemaire, Roberto Citran, Alba Rohrwacher, Pietro Fornaciari. Sentimentale, Ita/Fra 2004. Medusa.

La trama
L’amore adulterino tra Giovanni e Maria, vicenda ambientata nella Livorno degli anni Trenta. Giovanni lavora in banca, è sposato e ha un figlio. Durante i suoi quotidiani spostamenti in treno rivede Maria, una sua ex fiamma di qualche anno addietro. Tra i due riscocca come un lampo la vecchia scintilla della passione e in men che non si dica hanno un rapporto sulla spiaggia. La loro, però, è una relazione tormentata anche perché la famiglia di lei ricatta Giovanni minacciandolo di raccontare tutto alla moglie. I due amanti si lasciano per poi riprendersi qualche mese dopo quando Giovanni deve trasferirsi stabilmente a Livorno per quaranta giorni perché chiamato a fare un campo militare nell’imminenza della campagna coloniale dell’Italia nell’Africa Orientale. Sono quaranta giorni durante i quali i due vivranno momenti di intensa e tenera passione che però culmineranno nella decisione di lei di abbandonare quella relazione che le va troppo stretta. Inizia la seconda guerra mondiale e Giovanni viene richiamato alle armi. Al termine del conflitto tornerà, vivo e con un bel paio di baffi, per incontrare di nuovo, sempre casualmente, Maria. Ma molte cose in quei nove anni sono cambiate.

Recensione (rassegna stampa)
L’amore ritrovato del compianto Carlo Mazzacurati fu presentato fuori concorso alla 61^ Mostra del cinema di Venezia. Il soggetto è l’omonimo romanzo di Carlo Cassola. L’opera ha convinto assai più il pubblico che la critica. “(...) un film deludente”, sentenzia per l'appunto Daniele Sesti di Film UpA partire dalla storia (...) scontata e affatto originale (...) Una trama (...) da melò sentimentale (…) più adatto ad uno sceneggiato televisivo che al grande schermo di una sala cinematografica. Una squallida e piccola storia di tradimenti che nulla aggiunge di nuovo alle tante che l’hanno preceduta. Lui, marito irreprensibile, amante focoso e geloso, che non ha alcuna intenzione di mollare la famiglia. Lei, amante appassionata alla quale crolla il mondo addosso quando vede Giovanni in un tenero quadretto familiare. Personaggi e situazioni già viste che immalinconiscono per la loro prevedibilità. In mezzo il treno - conclude Sesti - che va e ritorna (...) e la dolce campagna toscana (...)”.

“Una normale, banale, storia d’amore clandestina”, rileva Antonello Rodio di Movie Player - L’amore ritrovato sembra davvero tutto qui. Un altro modo di dire che il film di Mazzacurati delude, non perché sia girato male (non c’è nessun difetto vistoso), ma perché è di una piattezza e di una prolissità che oltrepassano più volte i livelli di guardia (...) La storia (...) è davvero debole e segnata dall’inizio, senza che affiori nemmeno per un attimo l’aspettativa di uscire dal ‘tutto già previsto’. La fotografia è curata, come anche i costumi e le ambientazione, eppure manca del tutto la sensazione di trovarsi negli anni della guerra. D’accordo che in primo piano c’era solamente la storia d’amore clandestino, ma a parte quando Giovanni ricorda per un attimo le dure punizioni del regime fascista per l’adulterio, non c’è nessun altro accenno di contestualizzazione storica. Altra nota negativa è Stefano Accorsi, che purtroppo sembra avere ormai in faccia lo stesso identico ghignetto incantato qualsiasi personaggio reciti e in qualsiasi situazione si trovi. A questo punto, alla luce delle sue prove più recenti, va certamente rivalutata la sua prova urlata de L’ultimo bacio. Se la cava meglio Maya Sansa, che in certe fasi è però un po’ troppo solare per le vicende che sta vivendo (...)”.

redazione

martedì 8 luglio 2014

Giorgio Faletti, migliaia di persone ai funerali nella chiesa di san Secondo ad Asti

La folla di fronte alla chiesa dove sono stati celebrati
i funerali di Giorgio Faletti (foto Ansa online)
Amici, fan, colleghi. Oltre cinquemila persone hanno reso l’ultimo omaggio a Giorgio Faletti durante i funerali celebrati oggi nella chiesa Collegiata di san Secondo ad Asti, città natale di quello che è stato uno degli artisti italiani più poliedrici del nostro tempo. Faletti è morto all’età di 63 anni venerdì 4 luglio a causa di un tumore che aveva cercato di combattere con tutte le sue forze - anche con un lungo soggiorno in una clinica negli Usa - ma che, nonostante tutto, in soli
Faletti in una delle sue ultime apparizioni televisive
cinque mesi lo ha stroncato. Centinaia, per l’estremo saluto, le persone che non sono riuscite a entrare in chiesa e sono rimaste nell’antistante piazza di san Secondo. Molti gli esponenti del mondo dello spettacolo: da
Enrico Beruschi a Ugo Conti, da Paolo Conte a Franco Nero fino all’amica Luciana Littizzetto in lacrime.

Nella giornata di lunedì 7 luglio, incalcolabile era stato il numero di persone che aveva sfilato nella camera ardente allestita al teatro Alfieri. La bara, coperta di fiori chiari, era adagiata nel foyer. Dietro le tende semichiuse del teatro, sullo schermo, è stata riprodotta una gigantografia dell’artista scomparso. A Faletti sarà intitolata la nuova sede della biblioteca Astense, di cui era presidente. Il prossimo inverno, nello stesso teatro Alfieri, sarà organizzato - ha annunciato l’assessore comunale alla Cultura di Asti, Massimo Cotto - uno spettacolo teatrale dedicato all’attore e scrittore (e non solo) scomparso in modo tanto repentino e prematuro.

redazione

Festival Internazionale del Film di Roma, in giuria anche gli spettatori

Il manifesto
Gli spettatori saranno i protagonisti della manifestazione e premieranno i film di tutte le linee di programma: i riconoscimenti più importanti saranno dunque assegnati in base alle preferenze espresse dal pubblico all’uscita dalla sala. È la sostanziosa novità della prossima edizione (dal 16 al 25 ottobre 2014) del Festival Internazionale del Film di Roma, che si svolgerà, come al solito, all’Auditorium Parco della Musica nel quartiere Flaminio. In estrema sintesi, al termine di ogni proiezione gli il pubblico che avrò visto le pellicole potrà votare per assegnare i premi delle varie sezioni.

L'Auditorium Parco della Musica di Roma
Altri cambiamenti riguardano la Selezione ufficiale e le linee di programma che la compongono, ridefinite nel nome, nei contenuti e tutte competitive. In questo senso, il festival 2014 presenterà una struttura più ‘snella’ rispetto al passato, basata su un totale di circa quaranta lungometraggi. Cinema d’Oggi: ospiterà film di autori sia affermati che giovani; Gala: presenterà una selezione di grandi pellicole ‘popolari ma originali’ della nuova stagione; Mondo Genere: accoglierà film appartenenti ai più diversi modelli cinematografici; Prospettive Italia: farà il punto sulle nuove linee di tendenza del cinema nazionale di fiction e documentaristico (il nuovo regolamento non prevede più una programmazione di mediometraggi e cortometraggi).

La locandina di Tir,
film vincitore dell'edizione 2013
Il festival dedicherà l’intera giornata di domenica 26 ottobre alla proiezione in replica dei film vincitori. La rassegna rivolgerà inoltre una particolare attenzione al cinema emergente: tutte le opere prime e seconde di lungometraggio presenti nelle diverse sezioni (Selezione Ufficiale e Sezioni Autonome e Parallele) concorreranno all’assegnazione del Premio Taodue Camera d'Oro alla migliore opera prima e seconda, dotato di una specifica e prestigiosa giuria. Il direttore artistico proporrà inoltre al consiglio di amministrazione della manifestazione supervisionata dal direttore artistico Marco Müller, l’assegnazione di alcuni premi del festival e della fondazione: il Marc’Aurelio alla Carriera, per celebrare l’opera di un maestro dell’arte cinematografica; il Maverick Director Award, destinato a quei cineasti che hanno sempre operato ‘fuori dagli schemi’; i Marc’Aurelio Acting Awards, rivolti agli attori e alle attrici che hanno portato ai massimi livelli la tecnica della recitazione; il Marc’Aurelio del Futuro, che segnalerà l’importanza globale di un giovane regista. Un premio sarà inoltre assegnato dall’associazione DOC.IT al Migliore Documentario italiano. Accanto alla Selezione Ufficiale, il festival ospiterà come sezione autonoma e parallela Alice nella città, diretta da Gianluca Giannelli e Fabia Bettini, che presenterà una selezione di lungometraggi per ragazzi organizzata secondo un proprio regolamento e giudicata da una giuria composta di ragazzi tra i 14 e i 18 anni selezionata sul territorio nazionale.

redazione
Per alcune informazioni si ringrazia Rai News online

lunedì 7 luglio 2014

Il più bello di lunedì 7 luglio, prima serata, sul digitale: ‘Il patriota’ (Rete 4, canale 4, alle 21,15)

La locandina
Il patriota

Valutazione media: ♥♥♥ = 7,5

La scheda
Un film di Roland Emmerich. Con Joely Richardson, Mel Gibson, Chris Cooper, Tchéky Karyo, Heath Ledger, Lisa Brenner, Jason Isaacs, Tom Wilkinson, Donal Logue, Logan Lerman, René Auberjonois. Guerra, in costume, drammatico, Usa 2000. Titolo originale: The Patriot. Durata 165' circa. Columbia Tristar.

La trama
Carolina del Sud, 1776. Benjamin Martin, reduce dal conflitto tra i francesi e gli indiani, ha rinunciato per sempre alla guerra per dedicarsi alla sua famiglia. Sebbene sia stato, un tempo, soldato scaltro e feroce, dopo essersi sposato e aver avuto sette figli, ha seppellito il proprio violento passato e dato inizio a una tranquilla esistenza da agricoltore. Ma c’è sentore di ribellione nell'aria. Un altro conflitto, questa volta con l’Inghilterra, appare inevitabile. Martin è tutt’altro che ansioso di tornare a combattere. Da poco rimasto vedovo, ha priorità diverse da quelle di un tempo. È il solo a prendersi cura dei figli e gli orrori della guerra ancora lo ossessionano. «Volete sapere se sono disposto a combattere contro l’Inghilterra? La risposta è no. Sono già stato in guerra e non ho nessuna voglia di farlo di nuovo», dichiara Martin in un sentito discorso all’Assemblea di Charleston: «Ho sette figli, mia moglie è morta. Chi si occuperà di loro se io vado in guerra?». Gabriel, il figlio maggiore, non condivide i dubbi del padre. Le accese discussioni, gli opuscoli e i bollettini che circolano nelle chiese e nelle città e si diffondono rapidamente, hanno prodotto una certa impressione nel giovane. La guerra si avvicina e la causa per cui ci si prepara a combattere è giusta. Incurante del padre, Gabriel si unisce all’esercito.

Recensione (rassegna stampa)
“(...) Sontuoso film epico sulla Guerra d’Indipendenza Americana - scrive Pietro Ferraro de Il Cinemaniaco - girato da un veterano del cinema mainstream made in Hollywood, il tedesco Roland Emmerich (Godzilla, 2012), che applica anche in questo caso la sua tipica impronta spettacolare e iper-patriottica per regalarci un altro Gibson/William Wallace sempre in parte e pronto a dare una marcia in più a tutta l’operazione. Azzeccata anche la scelta dello spigoloso Jason Isaacs per la parte dello spietato villain inglese, perdoniamo ad Emmerich qualche scivolone nel patriottismo esasperato e nella retorica da pamphlet bellico vista la messinscena davvero notevole e la coinvolgente ricostruzione delle battaglie”, rileva sempre Ferraro.

Un'immagine emblematica de Il patriota
“(...) L’azione (...) non manca - rileva Silvia Caputi di Eco del Cinema - attraverso scene di combattimento eccezionali, supportata da una ricostruzione storica unica e raffinata, studiata nei minimi particolari. Il film è stato girato proprio nella Carolina del Sud vicino agli storici campi di battaglia della guerra d’indipendenza. Per la durata, esageratamente lunga (circa tre ore), per alcuni tratti della trama, nonché per il volto del protagonista, è comprensibile l’irrimediabile paragone con William Wallace, l’eroe nazionale scozzese immortalato nella pellicola diretta da Gibson stesso, Braveheart. Tuttavia il film di Emmerich, sicuramente spettacolare ed emozionante, per diversi tratti risulta eccessivamente condito, un po’ retorico, ripetitivo e esageratamente caricato di luoghi comuni e frasi fatte. All’uscita del film Spike Lee giudicò «ridicola» la fratellanza istantanea che nasce tra i coloni bianchi e gli schiavi di colore in nome della libertà e della lotta contro il nemico comune. Non è quindi all’altezza di Braveheart - conclude Caputi - ma è in ogni caso un colossal storico apprezzabile e dignitoso”.

redazione

Quelli che forse non avete ancora visto – ‘Disconnect’, un mostro tentacolare chiamato web

La locandina
Mia valutazione: ♥♥♥ = 7,5

La scheda
Un film di Henry Alex Rubin. Con Jason Bateman, Hope Davis, Frank Grillo, Michael Nyqvist, Paula Patton, Andrea Riseborough, Alexander Skarsgård, Max Thieriot, Colin Ford, Jonah Bobo, Haley Ramm, Kasi Lemmons, Erin Wilhelmi, John Sharian, Norbert Leo Butz, Erin Darke, Antonella Lentini, Marc Jacobs. Drammatico, Usa 2012. Durata 115' circa. Universal Pictures.

La trama
Un avvocato infaticabile vive incollato al cellulare tanto da non riuscire a trovare tempo da dedicare alla moglie e ai due figli adolescenti. Un ex poliziotto, due teen ager bulli, una giornalista televisiva in carriera, un ragazzo esibizionista per soldi in una chat, una coppia vittima di un furto perpetrato da un hacker. Non si conoscono ma le loro storie s’incrociano in modo drammatico in un puzzle che esplora le conseguenze della tecnologia moderna e come questa possa influenzare e modificare le esistenze. Il nostro modo di vivere ‘digitale’ di ogni giorno è davvero ‘connesso’ con il mondo reale? Disconnect fotografa in maniera drammatica una realtà molto cupa e ci svela profonde verità.

Recensione
La spietatezza degli uomini contro gli uomini, dai ragazzini agli adulti senza distinzione. E l’opportunismo, come quello della giornalista - brava nella parte l’inglese Andrea Riseborough (Oblivion) - che poi è sopraffatta e schiacciata dalla sua stessa foga di carrierismo. Alla base di Disconnect, film diretto con mano sorprendentemente sicura dal documentarista Henry Alex Rubin (al suo primo lungometraggio filmico) vi sono situazioni che sfuggono di mano a chi pensa di poter controllare tutto senza intralci. Protagonista assoluta l’impietosa potenza - demoniaca in questo caso - dell’online che non consente errori e che l’uomo non è ancora in grado di gestire senza rischiare di farsi sconvolgere l’esistenza. La sceneggiatura di Dina Goldman è ben costruita per esprimere il disarmante abuso della tecnologia internettiana dei nostri giorni. Un mostro tentacolare - con i suoi social network, forum, chat, webcam, clonazioni e, di conseguenza, frodi finanziarie - che, in molti casi, azzera i rapporti in carne e ossa e diviene malefico, inaffidabile intermediario. Nonostante il tema di base, non sono presenti effetti di computer grafica di particolare rilevanza.

Jason Bateman in una scena di Disconnect
Lo script spazza via la possibilità che il web possa facilitare l’amicizia, i rapporti amorosi, rimediare alla solitudine. Alla fine, senza l’incontro e lo scontro vis à vis non esiste alcuna soluzione. Presentata fuori concorso a Venezia durante la 69^ edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica, la pellicola è costruita con la tecnica cosiddetta multilineare, apprezzata in film eccezionali quali, a esempio, Crash (2004) e Magnolia (1999). Si tratta di narrare storie diverse che in un  primo momento sembrano non avere punti di contatto fino a una progressiva, rapida e il più delle volte drammatica intersecazione.

Il montaggio di Disconnect - opera girata nella periferia di New York - garantisce una concatenazione d’immagini lineare e rapida che permette al film di mantenere sempre alto il suo ritmo. La conseguenza è uno scorrere mai noioso della vicenda, ad alto tasso di coinvolgimento e pathos. I personaggi, che siano ben incarnati o no da attori di esperienza e livello diversi, sono comunque convincenti e permettono una forte immedesimazione dello spettatore. In questo, però, vi sono delle scivolate, come la quasi insignificante partecipazione di un interprete di comprovata bravura quale lo svedese Michael Nyqvist
Michael Nyqvist, per lui una parte di secondo piano
(protagonista principale della trilogia di
Uomini che odiano le donne - titolo del primo episodio - tratta dai romanzi-thriller di Stieg Larsson), relegato a un impegno di pochissime e brevissime scene che sarebbe potuto essere affidato ad attori di inferiore caratura. Sprecato. Dal canto suo Jason Bateman regala un’altra prova convincente, anche se il soggetto ne circoscrive in eccesso la libertà d’azione e di espressività. Bene i due giovanissimi della storia, in particolare Colin Ford chiamato a far emergere la doppia faccia di un ragazzino sofferente perché si sente solo, non compreso dal padre (efficace il newyorkese Frank Grillo [sarà protagonista dell'horror di prossima uscita, Anarchia - La Notte del Giudizio] nei panni del vedovo ex poliziotto esperto di truffe informatiche) e che reagisce a questo disagio con l’espediente del bullismo manifestato però in versione 2.0.

Paula Patton, fra i protagonisti del film di Henry Alex Rubin
I protagonisti sono tanti, come in tutti i film plasmati con questa tecnica. A non uscirne benissimo è la coppia composta dalla ‘losangelina’ Paula Patton (Mission Impossible - Protocollo Fantasma) e dallo svedese Alexander Skarsgård (in questi giorni al cinema con Quel che sapeva Maisie), nei panni dei due coniugi incastrati nella non indispensabile e anche ripetitiva rappresentazione della coppia in crisi per colpa della perdita di un figlio, uno degli espedienti narrativi più inflazionati delle sceneggiature a livello mondiale. Sarebbe stato sufficiente, a mio avviso, mostrare marito e moglie alle prese con una normale vita di alti e bassi, all’improvviso resa impossibile da una semplice leggerezza online. Ben disegnata la vicenda del cam-boy - pronto a esibirsi in tutte le fantasie sessuali che uomini e donne gli chiedono attraverso la webcam e lo schermo del computer - interpretato da un inedito Max Thieriot (Chloe - Tra seduzione e inganno) calato molto bene in un personaggio convincente in tutte le sue sfaccettature. Meno verosimile la facilità con cui è perdonato dall’organizzazione che gli sta alle spalle, giacché lui si è lasciato intervistare mettendo alla berlina, di fatto, l’intero business.

Disconnect, nel complesso, è un film ben fatto, soprattutto nella sua capacità di esprimere i vari drammi che in esso si sviluppano, come quello - forse più di altri - del ragazzino introverso che in seguito a crudeli scherzi di suoi coetanei scopre che una foto in cui è autoritratto completamente nudo, sta facendo il giro dei social network. Terribile.

Stefano Marzetti