mercoledì 7 maggio 2014

Il più bello di mercoledì 7 maggio, prima serata, sul ‘digitale’: Rete 4 alle 21,15

La locandina
Gran Torino

Mia valutazione: ♥♥♥♥♥ = 9

RICONOSCIMENTI PRINCIPALI
National Board of Review Award 2008: migliori dieci film, miglior attore protagonista a Clint Eastwood, migliore sceneggiatura originale a Nick Schenk; David di Donatello 2009: miglior film straniero a Clint Eastwood; Nastro d'argento 2009: miglior film non europeo a Clint Eastwood; Premio César 2010: miglior film straniero a Clint Eastwood; Ciak d'oro 2009: miglior film straniero.

La scheda
Un film di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood, Bee Vang, Ahney Her, Christopher Carley, John Antony, Austin Douglas Smith, John Carroll Lynch, William Hill, Brooke Chia Thao, Chee Thao, Choua Kue, Scott Eastwood, Xia Soua Chang, Cory Hardrict, Geraldine Hughes, Brian Haley, Dreama Walker, Brian Howe, Doua Moua, Sarah Neubauer, Nana Gbewonyo, Lee Mong Vang. Azione, Usa 2008. Durata 116'. Warner Bros Italia.

La trama
Walt Kowalski è un reduce della guerra di Corea, di carattere burbero e spavaldo, prova una grande passione per la propria Ford Torino, modello classico del 1972, custodita in garage. Walt non mostra pudore nel manifestare il proprio sentimento anti-coreano, nato durante la sua campagna in Corea, quando vide morire suoi amici per mano dei nemici. A peggiorare la situazione, il quartiere da lui abitato negli ultimi anni è diventato il principale centro suburbano della comunità coreana e le bande giovanili danno molto fastidio a Walt. Anche se frustrati e maltrattati da Kowalski, i coreani aiuteranno l'uomo a risolvere i problemi personali che ha con la famiglia, per diventare amici e aiutarlo a ripudiare il razzismo.


Clint Eastwood in una scena emblematica di Gran Torino
Recensione
Una delle scene violente del film
Dal soggetto di Nick Schenk e Dave Johannson e dallo script dello stesso Schenk, emerge il personaggio - incarnato da un Clint Eastwood (nel 2012 protagonista del discreto Di nuovo in gioco di Robert Lorenz) perfettamente nella parte - indurito dalla vita e dal passato in cui la morte ha giocato un ruolo decisivo. In Gran Torino (girato a Detroit e ambientato ai giorni nostri) - acclamato e premiato da più parti ma inspiegabilmente ignorato dall’Academy Awards per almeno un premio Oscar che avrebbe strameritato - i ricordi delle carneficine della guerra di Corea infestano ancora i sonni del vecchio reduce e il suo atteggiamento ostile nei confronti della società e della stessa esistenza. E in fondo il nocciolo dell’opera (che ha realizzato buoni incassi al botteghino, quasi tredici milioni di dollari in Italia e circa duecentosettanta in tutto il mondo) dell’anziano regista di San Francisco è soprattutto l’analisi dello spirito del protagonista. Disprezza gli asiatici, sia i suoi nuovi e pacifici vicini di casa sia le gang che scorrazzano malfattrici per il quartiere. Per lui cinesi, coreani o vietnamiti sono la stessa identica cosa. È l’occhio a mandorla che lo fa infuocare.

L'attrice statunitense di origini asiatiche, Ahney Her
In questa pellicola la musica, come accade in quasi tutte quelle nate dalla maestria di Eastwood, è uno degli elementi davvero importanti. Un fiore all’occhiello di questo prolifico cineasta, che ne è quasi sempre autore in collaborazione con il figlio Kyle e con Michael Stevens. Il montaggio ha il merito di realizzare un raccordo fluente e mai lento d’immagini, che non spezza in alcun momento l’attenzione di chi vede, con dialoghi asciutti e quindi efficaci. Da rilevare l’interpretazione dell’oggi 22enne Bee Vang nei panni del ragazzino che stringerà un’aspra ma profonda amicizia con il burbero vicino e quella di Ahney Her, che impersona la sorella stuprata dal ‘branco’ di turno, fatto che porterà al drammatico finale.


La Ford 'Gran Torino' del titolo dell'opera di Eastwood
Tornando ai temi del lungometraggio, c’è una sola cosa verso la quale il protagonista riesce a esprimere i suoi buoni sentimenti, il suo cane Labrador e quella Ford ‘Gran Torino’, automobile molto in voga negli Usa degli anni Settanta (il nome ‘Torino’ deriva dal fatto che gli americani consideravano questa città, sede della Fiat e della Lancia, come la Detroit d'Italia [cfr. Wikipedia]), che custodisce con gelosia in garage e cura come fosse una creatura. Per il resto egli è pervaso da una diffidenza che si diffonde in più direzioni: come detto verso gli asiatici e le altre etnie in genere, verso i propri figli, che ormai inquadra solo come quelli che non aspettano altro che egli vada a finire in un ospizio per poter raggranellare i pochi averi del padre; verso la Chiesa che ripudia senza schermi e rifiutando il dialogo con il parroco di zona. Quella di Walt Kowalski, insomma, è una vera e propria rabbia allargata. Lo sguardo di Eastwood torna a essere lo stesso feroce, a denti stretti e fitto di rughe del cacciatore di taglie della ‘trilogia del dollaro’.

Eastwood in una scena con il giovane Bee Vang
Ma il sopruso è sopruso e non ammette debolezza e perdono. E così, la morale è che Kowalski, alla fine, riesce a fare una netta distinzione tra i ‘gialli’ che meritano rispetto e quelli delinquenziali che lo riportano all’odio provato durante la guerra. Gran Torino è uno dei film più belli di Clint Eastwood , il quale, da quando ha deciso di fare anche il regista, ha inanellato una lunga serie di pellicole di successo. È la vicenda di un uomo solitario, senza paura ma triste, proprio come quel pistolero che fu lanciato nel mondo del cinema dal grande Sergio Leone, sotto la cui scorza dura e a prima vista inscalfibile, sta nascosto un impetuoso senso di giustizia e un animo da ‘brava persona’ che, alla fine, è indiscutibilmente dalla parte dei buoni.

Stefano Marzetti

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