martedì 8 aprile 2014

Il più bello di martedì, prima serata, sul ‘digitale’: La7 alle 21,10 (con trailer)

Codice d’onore

PREMI
National Board of Review Award 1992: miglior attore non protagonista a Jack Nicholson; MTV Movie Award 1993: miglior film; Chicago Film Critics Association Award: miglior attore non protagonista a Jack Nicholson; Southeastern Film Critics Association Award: miglior attore non protagonista a Jack Nicholson.


Mia valutazione: ♥♥♥♥ = 8,5



Scheda
Un film di Rob Reiner. Con Tom Cruise, Demi Moore, Jack Nicholson, Kiefer Sutherland, Kevin Bacon, Kevin Pollak, James Marshall, Christopher Guest, Cuba Gooding Jr., Noah Wyle, David Bowe, Cameron Thor, John M. Jackson, Frank Cavestani, Harry Caesar, Lawrence Lowe, Geoffrey Nauffts, Demi More, Wolfgang Bodison, Josh Malina, Oscar Jordan, John M. Matthews, Al Wexo, Jan Munroe, Ron Ostrow, Matthew Saks, Arthur Senzy, Gene Whittington, Maude Winchester, Aaron Sorkin, J. A. Preston, Matt Craven, J.T. Walsh, Xander Berkeley, Michael De Lorenzo. Titolo originale: A Few Good Men. Drammatico, Usa 1992. Durata 138'.

Trama
Daniel Kaffee, dopo la laurea in legge, si arruola in Marina, dove esercita la professione e diventa famoso per il fatto di riuscire a patteggiare tutte le cause, senza dover arrivare mai in aula. Quando si trova a difendere due marine accusati di aver applicato il 'codice rosso' e di aver ucciso un loro commilitone, tutto cambia. Dimostrerà il suo intuito e la sua preparazione,  scoprendo che l'ordine è arrivato dal loro comandante. Riuscirà a far assolvere i due uomini e a condannare il colonnello.
Tom Cruise in una scena-simbolo di Codice d'onore
Mia recensione
Premessa – Alcune osservazioni svelano in parte il finale del film.

Uno di quei film che fanno parte della mia esperienza esistenziale. Senza esagerare, intendo dire che Codice d’onore - catalogato come drammatico ma che mischia il legal-thriller al giallo, al militaresco, senza essere infastidito da superflue storie d’amore che nulla avrebbero avuto a che fare con l’esigenza d’essenzialità del racconto cinematografico e avrebbero rischiato di essere mere forzature nella continuità d’azione – è una di quelle pellicole che mi sono rimaste dentro, di cui ho una copia in dvd e che rivedo almeno tre volte l’anno.

Le ambientazioni e le scenografie (come l’aula del tribunale o la base navale statunitense di Guantanamo) create da J. Michael Riva, unite all’efficace fotografia di Robert Richardson (la bellezza di tre Oscar al suo attivo, per JFK - Un caso ancora aperto nel 1991, per The Aviator nel 2004 e per Hugo Cabret nel 2011; è uno dei due direttori della cinematografia viventi vincitore per tre volte della
Jack Nicholson nei panni del colonnello Nathan Jessep
statuetta hollywoodiana alla migliore fotografia [cfr., Wikipedia]), legittimano il senso realistico dell’opera, diretta senza sbavature dall’oggi 67enne
Rob Reiner (di cui è d’obbligo ricordare il meraviglioso Harry ti presento Sally del 1989). La bravura del cineasta newyorkese, in questo caso sta nella capacità di mescolare, senza rompere il ritmo dell’esperienza filmica, lo svolgimento del processo ai danni del famigerato colonnello Nathan Jessep del corpo dei Marines e comandante della suddetta struttura logistica, con le vicende esterne al procedimento di fronte alla corte marziale, comunque legate a doppio filo con l’altra parte del soggetto.

L’ufficiale suddetto è interpretato dal solito, irrefrenabile e istrionico Jack Nicholson. A mio avviso, nonostante i riconoscimenti ricevuti per questa sua personificazione (che è comunque di alto livello), come altre volte gli capita di fare, anche in questo caso forza un po’ la mano su quelle che sono spesso state le carte vincenti del suo repertorio recitativo (sorrisetti, alzate di sopracciglia e occhi da pazzo), in effetti senza impressionare più di tanto lo spettatore che lo segua circa dal principio della sua sfolgorante carriera.

La bella ed efficace Demi Moore
Tornando a soggetto e sceneggiatura, a cura di Aaron Sorkin (nel 2010 The Social Network di David Fincher) fanno emergere in maniera assai efficace il dramma – è così che va definito – di quello che in Italia è chiamato ‘nonnismo’ nel mondo dell’esercito. Vale a dire quella forma di violenza psico-fisica perpetrata ai danni dei soldati più giovani o, ancor peggio, che si dimostrano più deboli senza averne alcuna colpa. Questa è l’ipotesi da cui nasce lo script di Codice d’onore, quella che cerca una risposta alla domanda: cosa accadrebbe se un militare fosse ucciso da suoi commilitoni che hanno ricevuto l’ordine tassativo di ‘fargli pagare’ – senza volontarietà di macchiarsi d’omicidio – le presunte manchevolezze?

Prima ancora di quella del citato Nicholson, spiccano le interpretazioni di tre attori che nel 1992 erano al culmine della loro ascesa carrieristica. Parlo di Tom Cruise e Demi Moore (non hanno bisogno di presentazioni) in particolare, appoggiati in modo impeccabile dal bravo Kevin Pollak (in seguito, nel 1995, per lui un ruolo di rilievo nel grandioso I soliti sospetti di Bryan Singer). Come al solito più che efficace Cruise nel rendere credibile il personaggio del giovanissimo avvocato e tenente Daniel Kaffee, che al suo primo, vero caso, deve far fronte sia nella teoria ma, soprattutto, nello scontro cerebrale, a un veterano della statura del colonnello Jessep. Memorabile la scena finale in cui il giovane graduato mette a tal punto alle strette quello che era solo un testimone, da far sì che questi finisca per auto-accusarsi. Una pellicola che ‘passa’ spesso in televisione ma che ogni volta va presa in serissima considerazione.

Stefano Marzetti 

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