martedì 8 aprile 2014

“Piccola patria”, Rossetto sulle tracce di Mazzacurati? (con trailer)

Mia previsione: ♥♥♥ = 6,5

Scheda del film
Un film di Alessandro Rossetto. Con Maria Roveran, Roberta Da Soller, Vladimir Doda, Lucia Mascino, Diego Ribon, Mirko Artuso, Nicoletta Maragno, Mateo Çili, Giulio Brogi, Stefano Scandaletti, Valerio Mazzuccato. Drammatico, Ita 2013. Durata 110'. Cinecittà Luce. Uscita giovedì 10 aprile 2014.

Trama del film
Due ragazze, un'estate calda e soffocante, il desiderio di andare via da un piccolo paese di provincia. Luisa è piena di vita, disinibita, trasgressiva; Renata è oscura, arrabbiata, bisognosa d'amore. Le vite delle due giovani raccontano la storia di un ricatto, di un amore tradito, di una violenza subita: Luisa usa Bilal, il suo fidanzato albanese, Renata usa il corpo di Luisa per muovere i fili della propria vendetta. Entrambe vogliono lasciare la piccola comunità che le ha cresciute, tra feste di paese e raduni indipendentisti, famiglie sfinite e nuove generazioni di migranti presi di mira da chi si sente sempre minacciato. Luisa, Renata e Bilal rischieranno di perdersi, di smarrire una parte preziosa di sé, di perdere chi amano, di perdere la vita.

La critica
Il regista Alessandro Rossetto in azione
Dire oggi che possa trattarsi dell’erede di Carlo Mazzacurati, scomparso assai prima del tempo lo scorso gennaio, sarebbe di certo azzardato. È sicuro, comunque, che il regista Alessandro Rossetto, padovano come il suddetto grande collega (autore di film del calibro de La lingua del santo [2000] e di cui il 24 aprile sarà in sala, postumo, l’ultimo film, [vedi articolo]), che per quindici anni si è fatto le ossa girando documentari (tra cui l’apprezzato Feltrinelli nel 2006, biografia dell’editore Giangiacomo, attivista politico ai tempi delle Brigate Rosse), con il suo primo lungometraggio ‘di finzione’, come si usa dire, intitolato Piccola patria (da giovedì prossimo, 10 aprile 2014, nelle sale italiane), Rossetto, dicevo, pare possa avere le carte in regola per inserirsi con successo nel novero dei registi del Nord, capaci di contrastare lo strapotere della produzione romana.

Una scena di Piccola patria

Le sue capacità sono state riconosciute quattro anni fa, quando a New York gli è stata dedicata una retrospettiva nell’ambito del Documentary Film Festival. Come Mazzacurati, anche Rossetto (51 anni) ha scelto la propria terra (popolata da migliaia d’immigrati) come ambientazione del suo racconto filmico (le cui protagoniste sono l’esordiente Maria Roveran - autrice anche della colonna sonora – e l’altrettanto esordiente Roberta Da Soller). Quella “campagna industriale del Veneto – scrive Luca Renucci di Film Up - che sembra non offrire né attrattive per i turisti né speranze per i suoi abitanti, una terra pregna di 
Giulio Brogi, ottimo caratterista veneto
rabbia, incapace – forse – di accogliere le realtà del resto del mondo che cambia troppo velocemente e bruscamente”. Nel cast anche l’ottimo caratterista veronese
Giulio Brogi, industriale ‘bigotto’ in – guarda caso – il succitato La lingua del santo.

Un film che, come osserva sempre il collega Renucci, parla di diversità e di un ambiente che sembra assai lontano dal saperla accogliere.  Al punto che le due figure principali, Luisa e Renata, ‘inventate’ dalla sceneggiatura scritta a sei mani dallo stesso regista con Caterina Serra e Maurizio Braucci, improntano la loro esistenza al desiderio spasmodico di andarsene, nella speranza di trovare un luogo in cui poter essere libere. Una “sinfonia di luoghi aridi, atmosfere claustrofobiche e personaggi costruiti in modo impeccabile, anche grazie alla sconvolgente bravura e naturalezza di tutti gli interpreti”, dice ancora Renucci.

Altri che l’opera l’hanno vista in anteprima, parlano di Piccola patria come di un’occasione per castigare un’Italia che scivola verso il baratro culturale, inteso come impossibilità che la gente sia in grado, magari pian piano, di aprire la propria mente. Ma anzi è ancora gravemente malata di preconcetto e sempre pronta a puntare il famoso dito verso chiunque, in un modo o nell’altro, rompa gli schemi. Rossetto, in ciò, è bravo a far capire che, comunque, non è certo solo il ‘suo’ Nordest a essere contaminato da tale morbo. Ma che, viceversa, il problema riguarda la società di tantissime altre zone civilizzate (si fa molto per dire). Ogni “immigrato – rileva Giancarlo Zappoli di Mymovies - non importa se albanese o altro, può essere chiamato spregevolmente ‘negro’ e per lui non esiste futuro. Neanche quello di un amore perché questo vocabolo ormai abusato si confonde nella mente delle due protagoniste con il sesso mercenario, con il ricatto che dovrebbe consentire la realizzazione di un sogno, con, in definitiva, l'incapacità di provare un sentimento nella sua pienezza”. Un film che a me sembra meritare fiducia.

Stefano Marzetti

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