‘Nebraska’, quando l’amore per un padre è senza condizioni
La locandina
Mia valutazione: ♥♥♥ = 7,5
La
scheda
Un film di Alexander Payne. Con Bruce Dern,
Will Forte, June Squibb, Bob Odenkirk, Stacy Keach, Mary Louise Wilson, Rance
Howard, Tim Driscoll, Devin Ratray, Angela McEwan, Glendora Stitt, Elizabeth
Moore, Kevin Kunkel, Missy Doty, Anthony G. Schmidt, Melinda Simonsen.
Drammatico, Usa 2013. Durata 115' circa. Lucky Red.
La trama
Woody, un
anziano del Montana, scappa in continuazione di casa nel tentativo di raggiungere
il Nebraska dove è convinto di ricevere un ricco premio della lotteria.
Preoccupati dal suo stato mentale, i familiari dibattono a lungo sul metterlo o
no in una casa di cura, fino a quando uno dei due figli decide di accompagnare
il padre in questo folle viaggio. Lungo il tragitto, i due si fermano un paio
di giorni nel piccolo villaggio natale di Woody dove l’anziano, sotto gli occhi
del figlio, ripercorre il suo passato.
Mia recensione
Un film toccante Nebraska, per quello
che è il suo tema di base: non tanto la vecchiaia, non tanto il morbo di
Alzheimer che avanza senza pietà. Non tanto, ancora, una famiglia e un prossimo
che tendono ad attaccare ed emarginare l’ormai inutile membro disturbante.
Questa pellicola del regista Alexander Payne (Sideways - In viaggio con
Jack, 2005), forse
non a caso originario del Nebraska, mette sul piedistallo più alto l’elemento
positivo, più coinvolgente ed emozionate della vicenda, vale a dire l’amore
incondizionato di un figlio per il padre. Payne sceglie un
bianco e nero a mio avviso poco spiegabile, tentando, forse, di utilizzare il non-colore
per conferire una più profonda impronta artistica alla sua ultima opera. Una
tecnica che ormai da molti anni ha fatto proseliti ma che non sempre è decifrabile
per l’economia complessiva del film. Tuttavia, in questo caso come in altri,
non crea disturbo allo spettatore che in principio è indotto giusto a chiedersi
se per caso la storia sia ambientata in un’epoca precedente, scoprendo subito
che, invece, la narrazione è collocata nel nostro tempo. Comunque, in pochi
minuti ci si abitua.
I due protagonisti Bruce Dern e Will Forte in una scena di Nebraska
L’esposizione in immagini, in molte parti,
procede su ritmi piuttosto lenti, come l’incedere del protagonista, il vecchio
Woody, che va all’irragionevole ricerca di un tesoro del quale solo la sua
mente conosce l’esistenza. Anche questa fiacchezza del ritmo impresso dal
montaggio è, in un primo momento, elemento che rischia di rendere evanescente
l’attenzione di chi vede. Pian piano, però, si sblocca l’intento della
sceneggiatura di Bob Nelson. Circondato da persone che non vedono l’ora
di toglierselo dai piedi, l’alcolizzato e dissociato personaggio principale -
interpretato da un superlativo 78enne, Bruce Dern (Monster, 2003),
premiato come miglior attore protagonista l’anno scorso a Cannes - quasi
sbalordito capisce di avere un incaponito alleato nel figlio David (Will
Forte - ben calato
nella parte - noto soprattutto per la sua partecipazione al cast del Saturday
Night Live
tra il 2002 e il 2012). David che, seppur preoccupato per le condizioni fisiche
e mentali di Woody, decide che il genitore, un vero anti eroe, abbia il diritto
di vivere la sua smania di recuperare il milione di dollari. Come fosse l’ultima
cosa che debba fare nella sua vita disadorna.
Il regista
Alexander Payne
Dern/Woody in un'altra scena del film
E così il film sale di livello con la sua
parte on the road, col progressivo e
positivo sviluppo dell’intimità figlio-padre e, quindi, l’intensificazione
della loro intesa. Fino a quando è addirittura senza che vi sia bisogno di
parole (in questo senso i dialoghi sono spesso piuttosto succinti e quindi
realistici) che i due s’intendono. Il viaggio a due che salda i legami, non è
certo una novità nel cinema. Ma le dinamiche suddette e anche alcune scene di
lodevole ilarità che smussano con tempismo lo stampo drammatico della pellicola, danno al regista il merito di aver inserito importanti elementi originali. Le
location sono azzeccate e il montaggio,
qua e là, regala opportunamente, a telecamera immobile, vere e proprie
diapositive (qui, sì, il bianco e nero funziona) prive di esseri umani, fotografie
di spaccati disabitati, scorci di soporifere cittadine di provincia. Una scelta
registica che rende concreto nel narrato filmico un altro dei discorsi del plot, quello della solitudine, della
noia in cui esseri umani crescono a causa di un destino irrevocabile. Una
vecchia amica di Woody dice a David: «Qui da noi tutti cominciano a bere molto
presto, d’altronde da queste parti non c’è nient’altro da fare». Quello di Nebraska non è un happy ending. Resta l’amarezza inviata
dalla vicenda esistenziale di quest’uomo fallito che muove il figlio a comprensione
ma anche a compassione. Ma è lampante, comunque, un senso di riscatto e il
completamento di quell’affetto sopra ogni cosa.
Stefano
Marzetti
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