giovedì 26 giugno 2014

‘Nebraska’, quando l’amore per un padre è senza condizioni

La locandina
Mia valutazione: ♥♥♥ = 7,5

La scheda
Un film di Alexander Payne. Con Bruce Dern, Will Forte, June Squibb, Bob Odenkirk, Stacy Keach, Mary Louise Wilson, Rance Howard, Tim Driscoll, Devin Ratray, Angela McEwan, Glendora Stitt, Elizabeth Moore, Kevin Kunkel, Missy Doty, Anthony G. Schmidt, Melinda Simonsen. Drammatico, Usa 2013. Durata 115' circa. Lucky Red.

La trama
Woody, un anziano del Montana, scappa in continuazione di casa nel tentativo di raggiungere il Nebraska dove è convinto di ricevere un ricco premio della lotteria. Preoccupati dal suo stato mentale, i familiari dibattono a lungo sul metterlo o no in una casa di cura, fino a quando uno dei due figli decide di accompagnare il padre in questo folle viaggio. Lungo il tragitto, i due si fermano un paio di giorni nel piccolo villaggio natale di Woody dove l’anziano, sotto gli occhi del figlio, ripercorre il suo passato.

Mia recensione
Un film toccante Nebraska, per quello che è il suo tema di base: non tanto la vecchiaia, non tanto il morbo di Alzheimer che avanza senza pietà. Non tanto, ancora, una famiglia e un prossimo che tendono ad attaccare ed emarginare l’ormai inutile membro disturbante. Questa pellicola del regista Alexander Payne (Sideways - In viaggio con Jack, 2005), forse non a caso originario del Nebraska, mette sul piedistallo più alto l’elemento positivo, più coinvolgente ed emozionate della vicenda, vale a dire l’amore incondizionato di un figlio per il padre. Payne sceglie un bianco e nero a mio avviso poco spiegabile, tentando, forse, di utilizzare il non-colore per conferire una più profonda impronta artistica alla sua ultima opera. Una tecnica che ormai da molti anni ha fatto proseliti ma che non sempre è decifrabile per l’economia complessiva del film. Tuttavia, in questo caso come in altri, non crea disturbo allo spettatore che in principio è indotto giusto a chiedersi se per caso la storia sia ambientata in un’epoca precedente, scoprendo subito che, invece, la narrazione è collocata nel nostro tempo. Comunque, in pochi minuti ci si abitua.


I due protagonisti Bruce Dern e Will Forte in una scena di Nebraska
L’esposizione in immagini, in molte parti, procede su ritmi piuttosto lenti, come l’incedere del protagonista, il vecchio Woody, che va all’irragionevole ricerca di un tesoro del quale solo la sua mente conosce l’esistenza. Anche questa fiacchezza del ritmo impresso dal montaggio è, in un primo momento, elemento che rischia di rendere evanescente l’attenzione di chi vede. Pian piano, però, si sblocca l’intento della sceneggiatura di Bob Nelson. Circondato da persone che non vedono l’ora di toglierselo dai piedi, l’alcolizzato e dissociato personaggio principale - interpretato da un superlativo 78enne, Bruce Dern (Monster, 2003), premiato come miglior attore protagonista l’anno scorso a Cannes - quasi sbalordito capisce di avere un incaponito alleato nel figlio David (Will Forte - ben calato nella parte - noto soprattutto per la sua partecipazione al cast del Saturday Night Live tra il 2002 e il 2012). David che, seppur preoccupato per le condizioni fisiche e mentali di Woody, decide che il genitore, un vero anti eroe, abbia il diritto di vivere la sua smania di recuperare il milione di dollari. Come fosse l’ultima cosa che debba fare nella sua vita disadorna.

Il regista
Alexander Payne
Dern/Woody in un'altra scena del film
E così il film sale di livello con la sua parte on the road, col progressivo e positivo sviluppo dell’intimità figlio-padre e, quindi, l’intensificazione della loro intesa. Fino a quando è addirittura senza che vi sia bisogno di parole (in questo senso i dialoghi sono spesso piuttosto succinti e quindi realistici) che i due s’intendono. Il viaggio a due che salda i legami, non è certo una novità nel cinema. Ma le dinamiche suddette e anche alcune scene di lodevole ilarità che smussano con tempismo lo stampo drammatico della pellicola, danno al regista il merito di aver inserito importanti elementi originali. Le location sono azzeccate e il montaggio, qua e là, regala opportunamente, a telecamera immobile, vere e proprie diapositive (qui, sì, il bianco e nero funziona) prive di esseri umani, fotografie di spaccati disabitati, scorci di soporifere cittadine di provincia. Una scelta registica che rende concreto nel narrato filmico un altro dei discorsi del plot, quello della solitudine, della noia in cui esseri umani crescono a causa di un destino irrevocabile. Una vecchia amica di Woody dice a David: «Qui da noi tutti cominciano a bere molto presto, d’altronde da queste parti non c’è nient’altro da fare». Quello di Nebraska non è un happy ending. Resta l’amarezza inviata dalla vicenda esistenziale di quest’uomo fallito che muove il figlio a comprensione ma anche a compassione. Ma è lampante, comunque, un senso di riscatto e il completamento di quell’affetto sopra ogni cosa.

Stefano Marzetti

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