Scheda del film
Un film
di Scott Derrickson. Con Laura Linney, Tom Wilkinson, Campbell Scott,
Jennifer Carpenter, Colm Feore, Joshua Close, Ken Welsh, Duncan Fraser, Jr
Bourne, Mary Beth Hurt, Henry Czerny. Horror, Usa 2005. Durata 119'.
Trama del film
Il processo dello Stato contro padre Moore, accusato di aver
indotto Emily Rose alla morte. Il prete l'avrebbe spinta ad abbandonare la cura
medica prescrittale a rimedio di una supposta patologia psicotico-epilettica,
per sottoporla ad un tentativo di esorcismo: perché di possessione del Diavolo
(anzi, di sei demoni) avrebbe sofferto in realtà Emily.
Cosa ne penso
Per
alcuni versi si avvicina alla pietra miliare L’esorcista (1973 di William
Friedkin [tre Oscar: miglior sceneggiatura non
originale; due per il miglior suono; quindici nomination complessive]), che a
mio avviso paga lo scotto dell’età avanzata. Effetti speciali che allora furono
giudicati stupefacenti, poco tempo dopo e ancora oggi appaiono grossolani a
livelli parodistici. Non per nulla di quello straordinario film sono state
prodotte alcune deridenti versioni (la più famosa, forse, è Riposseduta [Usa 1990] con l’esilarante Leslie Nielsen e l’improbabile e ridicolo/volgare L’Esorciccio [Italia 1975] con gli scatenati Lino Banfi
e Ciccio Ingrassia).
The
Exorcism of Emily Rose è al passo con i tempi. Ricostruzione filmica di una
vicenda realmente accaduta (su internet si trovano alcune immagini della reale
posseduta), valorizzata da molte scene d’effetto sconcertante tra le quali
forse la più bella è quella in cui la vittima è presa dal demonio in quello
che ha tutto l’aspetto di essere un rapporto carnale. Senza dubbio all’altezza del
non facile compito l’oggi 34enne Jennifer
Carpenter (che non ha nessun legame di parentela
col grande regista John
Carpenter, anche se la voce che fosse addirittura la
figlia ha girato in lungo e in largo), il primo da protagonista quasi assoluta.
Due occhi grandi e felini che, oltre all’appoggio delle tecnologie che
ricostruiscono le situazioni più impressionanti, rendono affatto credibile la
sua parte da invasata trascendentale.
Altri
due attori di caratura e curriculum decisamente più importanti della pur
valente Carpenter,
quali l’inglese
Tom Wilkinson (protagonista dell'apprezzato Un giorno per sbaglio
nel 2006) e la newyorkese Laura
Linney (premio Oscar come miglior attrice non protagonista nel
provocante Kinsey, 2004, vicino al
bravissimo Liam Neeson), conferiscono un valore aggiunto alla pellicola dell’horror specialist Scott Derrickson (più che buono nel 2013 il suo Sinister, con Ethan
Hawke). Entrambi disinvolti nel ruolo rispettivamente del prete
esorcista e dell’avvocato incaricato di difendere il parroco. È un film che non
stanca nemmeno per un attimo, credibile quasi come un documentario, supportato
dall’efficacissima colonna sonora di Christopher
Young. Ben congegnato lo script
di Paul Harris Boardman, che garantisce un armonico scorrere della vicenda
filmica.
Scheda del film
Un film
di Mikael Hafström. Con Anthony Hopkins, Colin O'Donoghue, Alice Braga, Toby
Jones, Ciarán Hinds, Rutger Hauer, Maria Grazia Cucinotta, Chris Marquette,
Torrey DeVitto, Marta Gastini, Andrea Calligari, Marija Karan, Arianna
Veronesi. Titolo originale The Rite. Thriller, Usa 2011. Durata 114'.
Trama del film
La storia di un giovane seminarista americano che studia per
diventare prete. In balìa del credere o non credere, trova la sua occasione per
dimostrare la propria fede quando dal Vaticano è incaricato di seguire un
presunto caso di possessione.
Cosa ne penso
Guardabile
ma si può anche soprassedere. Vale comunque la pena di parlarne. Il rito (ogni tanto il titolo italiano
non storpia quello originale) nel genere ‘esorcismo’ è surclassato da diversi ‘colleghi’
(non ultimo quello recensito più in alto, The
Exorcism of Emily Rose), per non parlare dell’altro succitato, L’esorcista. Questo film del 53enne
regista svedese Mikael
Hafström, anch'egli a suo agio con gli horror (nel 2007 il buon 1408,
con John Cusack
in ottima forma) è tenuto in piedi quasi esclusivamente dal solito grandioso
ormai 76enne (che il fato ce lo conservi in salute per molti altri anni) Anthony Hopkins (due premi Oscar, nel 1991 miglior attore in Il silenzio degli innocenti; nel 1997
miglior attore non protagonista in Amistad).
Dell’interprete
britannico, per dare una sufficiente dose di valore al film bastano i
celeberrimi sguardi che ridono e pietrificano quasi all’unisono, la sua
recitazione sempre venata di sarcasmo, il tutto valorizzato - nella versione in
italiano ogni tanto va detto - da quell’eccellente doppiatore che è Dario
Penne. In tal modo riesce a rendere senza sbavature il personaggio di padre
Lucas Trevant, prete di “professione”, dalla fede altalenante e messa in
discussione da una mente illuminata e per il quale gli esorcismi sono quasi
pane quotidiano.
Grazie a
Sir Philip Anthony Hopkins, insomma, è stata messa una pezza a una sceneggiatura
zoppicante (Michael Petroni) e a un cast di attori poco più che mediocri, fatta eccezione,
nei panni di Padre Matthew, per l’esperto oxfordiano Toby Jones
(ottimo in Infamous [2006] nella
parte di Truman Capote, film uscito solo un anno dopo (trama identica) lo
straordinario Capote col compianto Philip Seymour Hoffman [premio Oscar come miglior attore]). Insipida la performance del 33enne irlandese Colin O´Donoghue (il seminarista titubante Michael Kovak). Poco credibile l'ambientazione - perlopiù Roma e 'presunti' dintorni - e una colonna sonora piatta (Alex
Heffes) quando in film di questo genere dovrebbe essere uno degli elementi più curati. Insomma, Il rito non è niente di più di una pellicola
da recuperare per serate che non promettono scintille.
Stefano Marzetti
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