domenica 9 marzo 2014

“Jimmy P.”, una psicanalisi insidiosa (trailer)

La locandina
Scheda del film
Un film di Arnaud Desplechin. Con Benicio Del Toro, Mathieu Amalric, Gina McKee, Larry Pine, Joseph Cross, Elya Baskin, Gary Farmer, Michelle Thrush, Misty Upham, Jennifer Podemski, Michael Greyeyes, A. Martinez. Drammatico, Usa 2013. Durata 114'. Bim. Uscita giovedì 20 marzo 2014.

Trama del film
Alla fine della seconda guerra mondiale, Jimmy Picard, nativo americano della tribù dei Blackfoot, che ha combattuto in Francia, è ricoverato all’ospedale militare Topeka in Kansas, un istituto specializzato in malattie mentali. Jimmy soffre di numerosi sintomi: vertigini, cecità temporanea, perdita di udito. In mancanza di una causa fisiologica, la diagnosi è schizofrenia. Tuttavia la direzione dell’ospedale decide di consultare Georges Devereux, un antropologo francese, psicoanalista ed esperto in cultura dei nativi americani. Jimmy P. è la storia dell’incontro e dell’amicizia tra due uomini che non si sarebbero mai incrociati in circostanze normali e che in apparenza non hanno nulla in comune. Insieme intraprendono l’esplorazione della memoria e dei sogni di Jimmy, un esperimento che conducono come due investigatori e con crescente complicità.

Tema del film
I film di psicanalisi sono sempre un rischio. A volte va benissimo (Will Hunting. Genio ribelle, 1997 con Matt Damon e uno straordinario Robin Williams per la regia di Gus Van Sant; uno di quei film che non mi stanco di rivedere), a volte va malissimo o maluccio (A Dangerous Method, 2011, di David Cronenberg, con Michael Fassbender, Keira Knightley, Viggo Mortensen, grandi attori ma tutti mosci tranne Vincent Cassel in una parte piuttosto esigua). E spesso si tratta di pellicole che dividono la critica. Questo succede anche nel caso di Jimmy P., la cui sceneggiatura (oltre al regista Arnaud Desplechin, anche Julie Peyr e Kent Jones) tratta dal romanzo di Georges Devereux, etno-psichiatra di origine ungherese naturalizzato francese. Stavolta poi pare ci si sia messo anche il cineasta francese Desplechin (molto apprezzato il suo I re e la regina nel 2004) che, secondo qualche commentatore, avrebbe rivisto la propria cifra espressiva, scontentando chi lo ammirava e non convincendo chi già non lo apprezzava.

Benicio Del Toro e Mathieu Amalric in una scena del film
In sostanza, alcuni fra coloro che il film hanno già avuto modo di vederlo, dicono che l’opera è priva di un’impronta registica, come se viaggiasse col pilota automatico. Quindi, immagino, piuttosto noiosa. Un racconto “appiattito dal carico di retorica – rileva Federico Gironi di Comigsoon.it - incapace di veicolare interesse umano per i personaggi che racconta così come suscitare un già dubbio interesse ‘scientifico’ per le modalità della terapia”. Perché l’autore ricopre il suo lavoro, lo cela con l’uso di sequenze ben confezionate ma accostate a banali figurazioni, presente e passato che si alternano. Al punto che perfino il premio Oscar portoricano Benicio Del Toro (Traffic di Steven Soderbergh nel 2000) pare non sia in grado di buttar fuori la sua usuale carica espressiva.

Aggiungi didascalia
D’altra parte, però, il film Jimmy P. sarebbe addirittura emozionante. E pure tanto, nella sua capacità di scovare l’autenticità dell’animo umano, con il regista bravo a far dimenticare che si assiste soltanto a una finzione, per quanto tratta da una storia vera. Così come sarebbe apprezzabile la riproduzione della vicenda epica, indispensabile per entrare in simbiosi col personaggio principale. Utile, in questo, anche la buona riuscita del rapporto personale tra il medico e il suo assistito. Per questo “Jimmy P. è un film sulla guarigione come presa di coscienza”, scrive Marzia Gandolfi su Mymoviesi.it 

Su un punto però sembrano quasi tutti d’accordo: non si tratta di un capolavoro. Perché nel suo essere un film che punta molto sulle performance degli attori, non riesce a far sì che questi, nonostante le indubbie capacità, riescano a essere costanti nella valorizzazione del loro impegno. Perciò l’intera pellicola sembra sia un’alternanza tra perfetta simmetria e omissioni, il che rischia di confondere o stancare chi ha sborsato i famosi otto euro circa. Ciò che io traggo da quanto ho potuto scovare nella Rete, è che si tratta di un’opera per la quale varrebbe la pena di investire. Sempre che quel giorno non si abbia davvero niente di meglio da fare.

Stefano Marzetti


(si ringrazia anche Bestmovie.it)

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