venerdì 7 marzo 2014

“The Zero Theorem”, Gilliam stavolta rischia grosso (trailer)

Scheda del film
Un film di Terry Gilliam. Con Matt Damon, Christoph Waltz, Tilda Swinton, Ben Whishaw, Peter Stormare, David Thewlis, Melanie Thierry, Lucas Hedges, Dana Rogoz, Sanjeev Bhaskar, Emil Hostina, George Remes, Tudor Istodor, Radu Andrei Micu, Olivia Nita, Naomi Everson, Madison Lygo. Drammatico, Usa/Gb 2013. Durata 107’.  Uscita prevista nel maggio 2014.

Trama del film
La storia parla di un genio dell’informatica Qohen Leth (Christoph Waltz) tormentato da un enigmatico progetto, che tenta di rispondere alla più angosciante delle domande esistenziali... l’assurdità del senso della vita. In un universo parallelo e distopico, indesiderabile, viene incaricato di risolvere quel ‘teorema zero’ che dovrebbe svelare l’assenza di significato, il nulla dell’esistenza umana. A capo dell’operazione presiede Management, che controlla e coordina l’intera popolazione attraverso una sorveglianza costante. Qohen è un uomo chiuso in sé stesso, incapace di relazionarsi con le persone e il mondo circostante e in attesa della tanto agognata ‘chiamata’. Una volta accettato il compito, però, si troverà risucchiato in un tunnel senza via d’uscita, dove la soluzione del ‘teorema’ sembra impossibile da cogliere e farà vacillare gradualmente le certezze dell’uomo.

Una scena di The Zero Theorem
Tema del film
Una cella claustrofobica dalla quale nemmeno il più determinato Frank Morris (il fuggiasco Clint Eastwood in Fuga da Alcatraz [1979]) sarebbe in grado di evadere. È in questa caverna al limite della pantomima che un incorreggibile Terry Gilliam decide di trascinare lo spettatore. E il 73enne regista di Minneapolis (Minnesota, Usa) lo fa senza timore di inciampare, sempre incaponito a girovagare nel suo mondo fantastico. Girovagare che gli ha permesso di regalare al cinema capolavori come La leggenda del re pescatore (1991) e L’esercito delle dodici scimmie (1995). Ed è proprio a quest’ultimo che sembra rimandare The Zero Theorem, opera che ho l’impressione abbia confuso le idee ai commentatori che l’hanno già vista (più probabile, forse, che le idee me le sia confuse io). Non si capisce bene se da questo lavoro siano rimasti affascinati o se non l’abbiano digerita. Un film confusionario ma intelligente, par di capire e non è che le due caratteristiche siano inconciliabili, anzi.

Il protagonista,
Christoph Waltz
Ho fatto un paragone con l’“Esercito” soprattutto con riferimento alla cornice in cui è inquadrata la vicenda, estraniante, a tratti, per quanto pare essere addirittura indecifrabile. Sensazione che non pervade solo chi ha pagato il biglietto ma soprattutto il protagonista Qohen Leth (di nuovo, immancabilmente bravissimo Christoph Waltz, Oscar nel 2010 per Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino) il quale nel tentare di compiere la  sua impresa deve guerreggiare anche con la profonda ansia che gli crea il dover avere a che fare col prossimo. È questo, dicono, l’aspetto più coinvolgente della pellicola, che cattura l’attenzione soprattutto nella parte iniziale. Compito in cui sembra non riuscire per l’intera ora e quarantasette minuti (che non è poco). Per quanto mi riguarda questo è un ritornello, un’osservazione che faccio in continuazione e che ritengo difficile da confutare, se non per le consuete eccezioni: i film sono più belli nella prima mezz’ora. Ipse dixit. Cioè, veramente lo dico io.
Il regista Terry Gilliam in azione
Finita la mia breve digressione, prendo atto e ve ne rendo partecipi, che questo film rischia di diventare noioso e poco originale. Pare quasi che la sceneggiatura (di Pat Rushin, al suo primo screenplay) sia stata influenzata dal già visto o magari scritta per assecondare i gusti del regista. Scelta sbagliata, se è stata fatta consciamente. Ma anche l’inconscio sappiamo, in fondo, come funziona. Come detto, ciò che è vincente è l’eroe – o antieroe, questo lo stabiliremo – che Gilliam segue con la sua maestria nella chiesa sconsacrata che è la casa di Qohen. La forza di costui è la fede utopistica, figlia della smania di essere qualcosa di diverso dagli altri. Questi altri intesi come gli esseri privi d’individualità, vittime dell’universo “teoricamente ossessionato dall'esibizione e moltiplicazione dell'ego nella Rete”, scrive Emanuele Sacchi su Mymovies.it 

Appena si esce di lì, dal mondo di Qohen, lo scorrere della narrazione è annunciato come ingorgato da scelte narrative ormai superate. Bella la definizione sempre di Sacchi: “Un videogioco vintage riadattato alla contemporaneità”. Davvero come se questo film fosse stato pensato vent’anni fa ma realizzato solo nel 2013. Con le conseguenze buone e meno buone che questo comporta. Tra le meno buone c’è il rischio che il pubblico perda il filo e che abbia ragione ad averlo perso, perché magari è lo stesso autore dell’opera che a un certo punto non ha più saputo tener dritta la barra del timone (luogo comune che ho volutamente utilizzato). In parole povere la domanda che potremmo trovarci a rivolgerci è questa: siamo diventati noi troppo pragmatici o è il “vecchio” genio di Gilliam che si sta lentamente spegnendo? Vedremo, anche perché io Christoph Waltz combinato in quella maniera me lo voglio gustare sul grande schermo.

Stefano Marzetti


(si ringrazia anche Filmup.it)

2 commenti:

  1. Questo blog e' fatto molto bene e da molte info utili. Complimenti!
    Gi

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  2. Ti ringrazio Gi. Soprattutto quando si è nati da poco incoraggiamenti come il tuo sono a dir poco preziosi. Grazie ancora e se vuoi continua a seguirmi.

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