Quelli che forse non avete ancora visto – “Il cammino per Santiago”, la via lungo cui abbandonare il dolore (con trailer)
La locandina
Il cammino per Santiago
Mia valutazione: ♥♥♥♥ = 8
La scheda
Un film di Emilio Estevez. Con Martin Sheen,
Emilio Estevez, Deborah Kara Unger, Yorick van Wageningen, James Nesbitt,
Tchéky Karyo, Angela Molina, Carlos Leal, Simón Andreu, Eusebio Lázaro, Antonio
Gil, Spencer Garrett. Titolo originale: The Way. Azione,
Usa 2010. Durata 94'. 01 Distribution.
La trama
Tom è un
medico americano che arriva in Francia per recuperare i resti del figlio morto
in una tempesta sui Pirenei mentre percorreva il Cammino di Santiago. Spinto
dal desiderio di poter stare ancora un po’ di tempo accanto a lui, cercando di
dare un significato a questa perdita, Tom decide di continuare lo storico
pellegrinaggio, lasciandosi alle spalle la sua vita in California. Con lo zaino
del figlio e una guida, s'incammina per gli ottocento chilometri del cammino ma
presto scopre che non sarà solo, incontrerà altri pellegrini, provenienti da
tutto il mondo e uniti dal desiderio di comprendere il profondo significato delle proprie vite. Le
privazioni che Tom dovrà affrontare gli permetteranno di comprendere la
differenza tra “la vita che si vive e quella che si sceglie di vivere”.
La mia recensione
Il regista
Emilio Estevez
Storia ‘on the road’ o meglio dire, in questo
caso, ‘on the way’ e a piedi. Quella way intesa
come via, che rispetto alla strada, dà un senso di maggior durezza, fatica - fisica
e mentale - pericolo, rischio di perdersi e di perdere, di smarrirsi lungo un
cammino che ha sì un obiettivo ben definito ma resta fino alla fine un’incognita
in cui o si affoga o si impara a nuotare. È la way del titolo originale, che sarebbe abbondantemente bastato a
rendere il senso di questa pellicola del 2010 che in Italia qualcuno ha voluto
che fosse conosciuta come Il cammino per Santiago (comunque
accettabile rispetto a migliaia di ingiustificabili storpiature).
Compagni di viaggio: da sinistra Martin Sheen, Deborah Kara Unger,
Yorick van Wageningen e James Nesbitt
Ha fatto davvero un bel lavoro il newyorkese Emilio
Estevez (attore alla
sua terza regia a distanza di quattro anni da Bobby, l’apprezzabile semi-biografico
film sulle ultime ore di Robert Kennedy). Estevez è il figlio
dell’interprete principale di questa vicenda in immagini, l’oggi 73enne Martin Sheen (nome d’arte
di Ramon Gerard Antonio Estevez, che iniziò a contare qualcosa nell’universo in
celluloide dagli anni Settanta del secolo scorso con La rabbia
giovane [1973] di Terrence
Malick, per poi
essere consacrato nel 1979 con la parte da protagonista in Apocalypse
Now di Francis
Ford Coppola).
Autore anche della sceneggiatura, Emilio Estevez decide di
raccontare il dolore improvviso, la perdita di un figlio dalla quale
scaturiscono decisioni che un uomo senza ferite così profonde non avrebbe mai
preso. E un viaggio non programmato è di certo una di queste, soprattutto
quando si giunge da una vita tranquilla, senza scossoni, forse anche un po’
noiosa, tra lo studio medico in cui si lavora e una partita a golf con amici o
colleghi.
Martin Scheen in una scena de Il cammino per Santiago
Un viaggio che è l’unica cosa da fare in quel
momento di sconcerto e che diventa anche l’unica speranza di non crollare. Il
dolore che diventa rabbia, chiusura in se stessi. Il protagonista, ben
disegnato dallo script, ha un
obiettivo preciso, così com’è chiaro che incognite ve ne saranno a ogni passo.
L’immedesimazione dello spettatore con questa persona che si lascia risucchiare
dalla storica via per Santiago de Compostela (Galizia, Spagna) è assicurata così
come la forza del racconto filmico. La rabbia, che è anche rancore nei
confronti di quel figlio mancato all’improvviso per una banale imprudenza, è
pure il rifiuto di tutto il resto, a cominciare dai rapporti umani che
divengono solo un intralcio lungo il cammino. Un passo dietro l’altro che vorrebbe
essere incontaminato, solitario. Ma è proprio in questo allontanamento dal
prossimo che l’uomo scopre di non piacersi e lentamente, nel suo procedere
verso la meta, torna psicologicamente sui suoi passi, a riscoprire il senso
dell’amicizia, la necessità di raggrupparsi, la primordiale inclinazione dell’essere
umano come essere sociale. Così i compagni di viaggio ‘raccolti’ lungo il
percorso, da consapevoli elementi di disturbo divengono incontri sorprendenti e
pian piano piacevoli, tessere indispensabili per il completamento di un puzzle focale per un’intera esistenza.
Buone le prove dei comprimari, fra cui spiccano Yorick van Wageningen (da citare Amore senza
confini nel 2003) e James
Nesbitt (Lo Hobbit -
Un viaggio inaspettato nel 2012).
Padre e figlio, nella realtà e nella finzione filmica, in un'altra scena
Bravo Martin Sheen, che
conferma la sua propensione recitativa all’introspezione, allo smarrimento
interiore dell’uomo di fronte all’imprevisto. Padre e figlio nella finzione se
la intendono (chissà se è così anche nella realtà, probabilmente sì, visti i
risultati). E il navigato Sheen segue e aiuta, probabilmente, Estevez nel creare
questo film che, forse, resterà il suo più bello (ma è ovvio che gli auguro
altre intense soddisfazioni). I dialoghi sono credibili (così come significativi
sono alcuni silenzi), essenziali quanto basta e anch’essi contributivi a tenere
il cinefilo seduto nel buio e con intensa partecipazione di fronte al grande
schermo. A tratti, tuttavia, la catena narrativa rallenta, il ritmo s’inceppa
per poi, comunque, riprendere il suo flusso, in tempo per non causare
distrazioni. Contribuisce al coinvolgimento una colonna sonora originale perfetta
(Tyler
Bates, City of
Ghosts nel 2002) per
il tipo di narrazione, ad avvolgere la splendida fotografia di Juanmi
Azpiroz col contributo
di Anthony
Von Seck e dello
stesso Estevez.
Un bel film, di quelli che in troppi vanno
dicendo che gli Stati Uniti non sono capaci di fare. E invece loro sono lì,
molto più spesso di quanto si pensi, a dimostrare che col cinema fanno quello
che vogliono e quando vogliono. Opera senza dubbio da recuperare, possibilmente
con dei figli accanto.
Stefano
Marzetti
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