martedì 25 marzo 2014

“Storia di una ladra di libri”, la salvezza è nella cultura (con trailer)

La locandina
Mia previsione: ♥♥ = 7,5

Scheda del film
Un film di Brian Percival. Con Geoffrey Rush, Emily Watson, Sophie Nélisse, Ben Schnetzer, Nico Liersch, Joachim Paul Assböck, Kirsten Block, Sandra Nedeleff, Rafael Gareisen, Godehard Giese, Hildegard Schroedter, Gotthard Lange. Titolo originale The Book Thief. Drammatico, Usa/Ger 2013.  Durata 125'. 20th Century Fox. Uscita giovedì 27 marzo 2014.

Trama del film
Vicenda ambientata nella Germania della seconda guerra mondiale. Protagonista è Liesel (Sophie Nélisse), una vivace e coraggiosa ragazzina affidata dalla madre, incapace di mantenerla, ad Hans Hubermann (Geoffrey Rush), un uomo buono e gentile e alla sua irritabile moglie Rosa (Emily Watson). Scossa dalla tragica morte del fratellino - avvenuta solo pochi giorni prima - e intimidita dai ‘genitori’ appena conosciuti, Liesel fatica ad adattarsi sia a casa sia a scuola, dove è derisa dai compagni di classe perché non sa leggere. Con grande determinazione è tuttavia decisa a cambiare la situazione e trova un valido alleato nel suo papà adottivo che, nel corso di lunghe notti insonni, le insegna a leggere il suo primo libro, Il manuale del becchino, rubato al funerale del fratello. L’amore di Liesel per la lettura e il crescente attaccamento verso la sua nuova famiglia, si rafforzano grazie all’amicizia con un ebreo di nome Max (Ben Schnetzer) che i suoi genitori nascondono nello scantinato e che condivide con lei la passione per i libri incoraggiandola ad approfondire le sue capacità di osservazione.

Critica
Rendo noto un mio problema (si fa per dire): di film in cui si parla di nazismo ho ormai fatto quasi indigestione. Anche perché quando uno ha visto Schindler's List, 1993 di Steven Spielberg con Liam Neeson (uno dei più bei film della storia del cinema mondiale) e, per esempio, Il pianista, 2002, di Roman Polanski con Adrien Brody, potrebbe quasi sentirsi a posto. Certo, nel genere ce ne sono tanti altri e alcuni molto belli, ma davvero troppi, di pari passo con la produzione letteraria. L’olocausto degli ebrei merita tutta quest’attenzione, ciò non toglie che gli eccessi aumentano il rischio di fallimenti.

Fatta questa premessa Storia di una ladra di libri (tratto dal romanzo di Markus Zusak intitolato La bambina che salvava i libri e la cui riduzione cinematografica è opera di Michael Petroni) sembra - stando ai pareri letti qua e là sul web - non rientrare di certo nel novero dei suddetti fallimenti. Nella sua essenza autobiografica, l’opera del regista britannico Brian Percival (al primo film degno di nota nel suo magro curriculum) mette da subito in evidenza la cattiveria dell’essere umano, che in quel momento della storia raggiunse uno dei livelli più elevati.

Il regista Brian Percival
Cattiveria unita all’ignoranza, all’idiosincrasia per la cultura che sola può portare a una crescita interiore e quindi a un allontanamento dalla brutalità. In questo contesto entra in gioco la piccola protagonista, la ‘ladra’ di libri, che a costo di mettere da parte le frivolezze tipiche dei suoi anni, si avvicina alla lettura e da essa riceve l’aiuto per farsi un’idea di ciò che le avviene intorno, avvicinandosi alla vita e alla sua principale essenza.

Una scena di Storia di una ladra di libri
“Se Hitler ordina ai suoi ‘figli’ di bruciare i libri, un padre protegge sua figlia dall'orrore grazie alle parole di quei libri”, scrive Marzia Gandolfi di Mymovies . “Perché l'arte è una sorta di coscienza salutare e in quegli anni bui provvidenziale a risollevare le persone dall'umiliazione e dall'ignominia subita”. Il valore di questa pellicola è senz’altro dovuto anche alle performance di un grande attore come Geoffrey Rush (nel 1996 premio Oscar come miglior protagonista in Shine) e dell'appena 14enne canadese Sophie Nélisse, che a dispetto dell'età si era già fatta valere in Monsieur Lazhar (2011). “Storia di una ladra di libri rivela una superficie liscia e una narrazione senza asperità”, rileva ancora Gandolfi.

Da sinistra Sophie Nélisse, Emily Watson e Geoffrey Rush
Detto in principio di commento sul tema dell’olocausto, è giusto porre in evidenza la potente originalità di questo film, che mostra come le deportazioni furono osservate dall’esterno, vale a dire non dagli ebrei vittime della shoah ma dai ‘normali’ cittadini tedeschi, a volte ignari, altre volte osservatori disarmati altre, certo, fautori della follia del Terzo Reich. In questo sembra che uno degli elementi di maggior valore dell’opera filmica, sia il “sentiero psicologico e l’intreccio emotivo che si snoda e che avvolge i protagonisti” e “svela una particolare sensibilità degli autori e del regista verso i temi dell’amicizia, dell’amore, della bontà e della disponibilità al sacrificio”, scrive Simone Arseni di Filmup. Il tutto pare sia descritto con un calibrato sentimentalismo in grado di far proprio il cuore, la sensibilità dello spettatore.

In tale complessità l’imperfezione di questo film più che promettente, starebbe nel finale affrettato e, quindi, causa di un senso d’inappagamento di chi ha pagato il biglietto (che, lo ricordo sempre, non ti regala nessuno, a parte i soliti fortunati). Inoltre l’apoteosi è, a quanto pare, sovrabbondante, “avvenimenti, immagini e drammi si susseguono a gran velocità - scrive sempre Arseni - dando allo spettatore la sensazione di precipitare insieme agli eventi. Ci si sente storditi e privati dell’intimo piacere di emozionarsi nel vedere conclusa una storia ben raccontata”. Comunque assolutamente da vedere. E al cinema.

Stefano Marzetti

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