Marco Pantani - con la maglia rosa del Giro d'Italia - in uno dei suoi celebri scatti in salita |
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STEFANO MARZETTI
Tre giorni di proiezioni (da domani al 19
febbraio), in cento cinema italiani, per ricordare la fine di Marco Pantani.
Ciclista, scalatore d’indubbia e eccelsa classe, l’espressione del volto mai
davvero serena, nemmeno dopo i successi più esaltanti, che un sistema depravato
che ha fatto del doping il proprio Tocco del male, ha estromesso dalle competizioni prima e poi dalla sua esistenza.
Il Pirata di Cesenatico fu trovato morto il 14 febbraio del 2004 nella stanza
5D del residence le Rose di Rimini). La causa del decesso, un edema polmonare e
cerebrale provocato da un’overdose di cocaina. La famiglia chiede ancora di
conoscere tutta la verità. Un film o un docufilm in due atti (The Accidental Death of a Cyclist il
titolo originale) come lo si preferisce denominare (92 i minuti di durata), che
a distanza di dieci anni dalla scomparsa rituffa lo spettatore nella vita
sportiva e non del campione che riportò in Italia la maglia gialla del Tour de
France, la corsa a tappe più prestigiosa del mondo (era il 1998 e in quella
stagione Pantani aveva vinto anche il Giro d’Italia). Sul Galibier e a
Cesenatico ancora tanta gente oggi va a rendere omaggio a Pantani di fronte ai monumenti
a lui dedicati. Libri consigliati Gli ultimi giorni di Marco Pantani del giornalista francese Philippe Brunel (Biblioteca
Universale Rizzoli) ma anche Pantani. Un eroe tragico (Mondadori), scritto da Pier Bergonzi, Davide Cassani e Ivan
Zazzaroni e tanti altri.
Non un italiano alla regia del film, bensì un
inglese, James Erskine. L’opera (già nel 2006 in televisione andò in onda Il Pirata. Marco Pantani, di Claudio
Bonivento) è ricca di filmati di repertorio inediti, interviste e testimonianze
di familiari e amici vicini al campione. Il titolo è il primo di una serie di
film dedicati al mondo dello sport, della musica, dell'arte e della cultura
che, dal 2014, la casa produttrice The
Space Movies porterà sul grande schermo. «Ho cercato di recuperare nelle
sue ore più buie, il Pantani ciclista geniale, corrotto da un sistema di
ineluttabile oscurità», ha dichiarato il regista al Fatto Quotidiano online «(…) un
uomo – ha aggiunto il cineasta - che ha cambiato non solo il punto di vista
dello spettatore ma ha diffuso la bellezza del ciclismo come sport. Un
pioniere, un rivoluzionario e un genio, comunque un uomo, per questo imperfetto».
Imperfetto Pantani, rivelano le immagini del film, perché probabilmente
incapace di gestire la corruzione dell’universo in cui si muoveva da
protagonista. E protagonista significa un carico di responsabilità schiacciante,
un fardello da portarsi dietro al termine di ogni impresa, vittoria o sconfitta
che sia. «Ho pensato che dovevo raccontare la figura di Pantani – ha detto
ancora Erskine - proprio quando ho sentito la confessione sul doping di Lance
Armstrong», altro angelo caduto – e molto più sonoramente di Marco - perché toccato
dal demone del doping.
Mai del tutto sereno, abbiamo detto di
Pantani. E il film trasmette questo supplizio che culminò nel 1999 (durante il
Giro) con quel tasso di ematocrito di poco al di sopra del consentito, che gli
venne diagnosticato con un blitz scattato all’alba mentre il campione ancora
dormiva. Naturalmente in questo film, insieme ai momenti struggenti dell’esistenza
di Pantani, anche quelli più glorificanti, gli scatti con quella bandana corsara
agguantata e gettata lontano, le arrampicate, i podi, la gloria, i soldi. Trenta
vittorie, un Giro, un altro Giro negato, un Tour, qualche tappa che ha lasciato
il segno, al Ventoux, a Courchevel. La galleria di volti noti è da brivido, c’è
perfino Maradona. Scorrono il grimpeur Ugrumov (abitava vicino al residence riminese,
dove morì Pantani), l’avversario Berzin. Tutta una vita, comunque, sempre
avvolta da una sorta di maledizione, condensata anche dagli incidenti che ne hanno
condizionato la regolarità.
«Il film – ha detto la madre Tonina, considerando che
i parenti non sono quasi mai entusiasti delle ricostruzioni cinematografiche e
scritte - mi è piaciuto» perché dal film «si capisce tanto. Mio figlio non è
mai stato trovato dopato ma adesso capisco come funzionava, e se lui non
l’avesse fatto, sarebbe stato il cretino del villaggio».
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