venerdì 25 luglio 2014

Il più bello di venerdì 25 luglio, prima serata, sul digitale: ‘A History of Violence’ (Rai Movie, canale 24, alle 21,15)

La locandina
A History of Violence

Valutazione media: ♥♥♥♥ = 8

La scheda
Un film di David Cronenberg. Con Viggo Mortensen, Maria Bello, Ed Harris, William Hurt, Heidi Hayes, Ashton Holmes, Peter MacNeill, Stephen McHattie, Greg Bryk, Kyle Schmid, Sumela Kay. Thriller/azione/drammatico. Durata 96' circa. 01 Distribution.

La trama
Tom Stall vive tranquillo e felice con la moglie avvocato e i loro due bambini nella piccola città di Millbrook, Indiana (Usa), ma la loro idilliaca esistenza va in pezzi quando una notte Tom sventa una rapina nel suo ristorante. Quando si accorge del pericolo, entra in azione e salva i suoi clienti e amici uccidendo i due criminali per difesa. La vita di Tom cambia dopo quella notte, tutti lo considerano un eroe e il circo dei media lo spinge sotto i riflettori. A disagio per questa inaspettata celebrità, cerca di ritornare alla vita normale, ma deve confrontarsi con un tipo misterioso e minaccioso, che arriva in città credendo che Tom sia l’uomo dal quale in passato ha subìto ingiustizie. Tom e la sua famiglia reagiscono allo scambio d’identità e lottano per far fronte alla nuova realtà, ma sono costretti a rivedere le loro relazioni e i problemi che li dividono.

Recensione (rassegna stampa)
“Era dai tempi di Crash (2004, ndr) che Cronenberg non ci offriva un film (a sinistra il TRAILER) così rigoroso e crudo - rileva Luca Pacilio di Onda Cinema - senza cedimenti e senza compiacimenti; una storia fatta di immagini asciutte che coprono un’architettura solidissima; la rappresentazione, zeppa di segni, di una realtà codificata attraverso l’uso della fiction (la stessa, nuova, esistenza ... del protagonista si fonda su una finzione: il sogno americano). La violenza ivi rappresentata ‘non è coreografata’ (ipse dixit) ma è scabra, aspra, disturbante, reale; è, soprattutto, un malessere strisciante che si annuncia (i mostri del sogno della bambina: una minaccia in germe) e che, giunto in casa, dilaga epidemico (il figlio che picchia il compagno e ammazza il nemico trova in sé l’energia di un male atavico, la moglie che schiaffeggia il marito, l’amplesso come una lotta mostruosa), è un morbo astratto ma contagioso che contamina un microcosmo apparentemente sterile che
Il regista David Cronenberg
solo la scena finale sembra ricomporre (il gesto con cui la figlioletta mette il piatto in tavola restaura, tra mille perplessità - poiché nulla potrà più essere come prima - il devastato quadro iniziale) ... E nulla sbaglia l’autore da un punto di vista formale: inquadrature taglienti che dicono più di qualsiasi effetto speciale; un piano sequenza iniziale (un lynchiano ingresso nel malefico strange world) superlativo per sospensione, tempi, tensione e che sfocia nell’ordinary world di Tom (la chirurgica direzione della fotografia è del fedele
Peter Sushitzky); superbe scelte attoriali (tutto il cast, nessuno escluso, e un redivivo William Hurt, gigione da applauso); le gravi, strategiche musiche di Howard Shore. Un colpo secco - conclude Pacilio - che ci ha stesi”.

Ed Harris in una scena di A History of Violence
“(...) Tratto da un fumetto di John Wagner il nuovo film di Cronenberg torna sui territori cari al regista”, scrive Giancarlo Zappoli di My Movies - : l’identità, la possibile schizofrenia, il rapporto tra realtà e apparenza. Anche lo stile narrativo gioca su questi elementi, tanto che il film potrebbe essere oggetto di una doppia recensione. Se lo si prende per come appare si tratta di un thriller molto stereotipato con buone dosi di esagerazione narrativa e di umorismo spesso involontario. Se invece lo si legge a partire dalla prima inquadratura che sembra un quadro di Hopper allora le cose cambiano. Si pensa al Cronenberg raffinato intellettuale che opera una rilettura sui generi per svelarne la fragilità e l’ambiguità. Questa volta propendiamo per la prima scelta quasi che il regista canadese, dopo la complessa prova di Spider (2002, ndr) avesse deciso di avvalersi di una fonte di ispirazione ‘bassa’ per vedere come i meccanismi narrativi funzionano in quel contesto senza però volersene distanziare criticamente. Grande - conclude Zappoli - come sempre, Ed Harris”.

redazione

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